Materazzi, in difesa sul campo, all’attacco nella vita, contro i vigliacchi e le ipocrisie

di Mario Spolverini, pubblicato il: 07/09/2017

Indice dei contenuti

1 Materazzi, una vita a sportellate2 Un hombre vertical3 Dal dolore ai trionfi4 Il grazie di Mourinho5 Contro le ipocrisie del calcio6 E’più bello cosìMaterazzi, una vita a sportellate

Se i media continuano a raccontare che all’Inter manca un difensore centrale d’esperienza, Spalletti rischia di trovarselo in mutandoni alla Pinetina, pronto per l’allenamento.
Marco Matrix Materazzi riuscirebbe anche in questo per l’Inter.
Non è facile diventare Materazzi e non è facile dimenticarlo.
Arrivò all’inter come uno normale, ne è uscito come un mito (rima non cercata, ma ci sta).
Se Ligabue ha dedicato a Oriali una vita da mediano, a lui qualcuno dovrebbe cantare una vita di sportellate.
Memorabili quelle con Ibra bianconero e rossonero e quelle con Luca Toni.

Un hombre vertical

Si prendono e si danno, in silenzio, con grande rispetto per l’avversario.
Chiagne e fotti dicono con meravigliosa sintesi dialettale a Napoli.
Lui ne ha fatto uno stile di gioco; dopo ogni tackle un po’ più “maschio”, magari con l’avversario ancora a terra a rantolare, la sua espressione era quella da “chi..io? ma no arbitro!”.
Uno che non le ha mai mandate a dire, nelle occasioni positive e in quelle negative.
La maglia epica “rivolete anche questa” esibita dopo la finale di Madrid, la testata di Zidane a Berlino, la rissa con Cirillo, la maschera di Berlusconi, lo “spirito paterno” con il quale riempiva la testa (e non solo quella) di Balotelli negli spogliatoi…
Qualcuno che non lo amava lo definiva arrogante, eccessivo.
Per noi è stato sempre uno spirito libero, un condottiero come pochi, che sapeva di potersi permettere certi atteggiamenti proprio perchè era uno con la schiena dritta.

Dal dolore ai trionfi

Un uomo, non una figurina o un codice fiscale.
Un uomo cresciuto troppo presto; a lui le sportellate le ha date la vita,non solo gli avversari.
Mentre i suoi coetanei giocavano con la mamma, lui piangeva al suo ricordo.
Un dolore così , se non ti ammazza l’anima e i sogni, può essere trasformato in una dose enorme di fierezza e decisione con cui superare ogni ostacolo che la vita ti mette di fronte.
E’ quello che ha fatto Marco.
Talento naturale, volontà ferrea, carattere da hombre vertical sempre e comunque.
Come poteva non essere un leader?

Il grazie di Mourinho

Il riconoscimento più tangibile di questa leadership in campo e fuori sta in un episodio che forse solo gli interisti ricordano.
Nella notte del Triplete, sul 2 a 0 a 180 secondi dalla fine, mentre la gente nerazzurra stava impazzendo di gioia, Mourinho chiamò un cambio.
Vero, era la standig ovation per il Principe Milito, ma Mourinho stava compiendo un altro capolavoro di umanità.
Quei pochi spiccioli di partita erano il regalo di un allenatore non solo ad uno dei suoi fedelissimi, ma ad un giocatore che quel traguardo se l’era guadagnato con ogni goccia del suo sudore e con la determinazione di chi deve prendersi una rivincita sulla vita. Anche più di una.
Devi esserci anche tu nel tabellino della storia” gli avrà detto Josè.
Mai un cambio a tre minuti dalla fine fu vissuto con felicità ed emozione più grandi.

Contro le ipocrisie del calcio

Ma Matrix ha rappresentato, suo malgrado, anche uno dei punti più alti nei quali il calcio dimostra tutta la sua mancanza di regole emotive, la sua non logicità.
Anni interi passati a chiedere agli spettatori di tutti gli stadi d’Italia di non insultare sua madre. “Insultate me, non lei”, chiedeva.
E poi non uno stadio, ma un intero paese ai suoi piedi, a benedire lui e sua mamma, la sera del trionfo azzurro di Berlino.
L’ipocrisia di un popolo può essere giudicata dal colore della maglia di un giocatore di calcio?
La risposta esatta sarebbe si.
Ma vogliamo dire di no, solo per una considerazione di comodo e di parte.
Perchè siamo tifosi anche noi e conosciamo fino in fondo le “non regole” di cui il tifo calcistico si nutre ogni domenica.
Ovviamente la nostra è solo un tentativo di spiegazione, giammai una giustificazione.

E’più bello così

Materazzi è stato capace anche di questo, di fotografare uno dei vizi più antichi di questo paese in una istantanea memorabile.
Forse senza rendersene neanche conto, ma con la sua inzuccata vincente a Barthez ha fatto scuola più di un intero anno accademico nelle facoltà di psicologia di tutta Italia.
Per Matrix la vita è stata un intervallo lunghissimo tra il dolore e la leggenda.
E diventare leggenda alla faccia dei vigliacchi e contro ogni ipocrisia è ancora più bello ed appagante.


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