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Inter, a tutto Zanetti: dagli inizi, all’arrivo a Milano, fino al 5 maggio. E sul Triplete…

Inter, Javier Zanetti parla della sua esperienza in nerazzurro. In una lunga intervista al podcast Muschio Selvaggio, l’ex capitano nerazzurro è stato interrogato su quella che è stata la sua carriera, ma, soprattutto, sulla sua esperienza interista. L’attuale vice-presidente, ha parlato di tanti aneddoti e di tanti elementi curiosi. Ecco le sue parole.

Sulle caratteristiche che dovrebbe avere un difensore: “Tanti km fatti, tanta corsa, tanta concentrazione. L’attaccante basta che fa gol. Il difensore deve sudare. A noi toccava questa parte, ma ci piaceva”.

Sul chi gli ha dato e perchè i soprannomi El Tractor e Pupi: “Il telecronista per la maniera in cui giocavo mi diceva che ero un trattore e me lo sono portato in Italia. Pupi perché chiamavano così mio fratello e poi hanno iniziato a chiamare così anche me. E così si chiama anche la mia fondazione”.

Sul legame molto forte con l’Inter: “Sono arrivato in Italia molto giovane all’Inter. Da lì c’è stata questa passione, questo legame molto forte da entrambe le parti. L’Inter mi ha accolto come in una famiglia, il lato umano per me è la cosa più importante. Cercavo un club con questi valori che condivido”.

Se è stato vicino ad andare via da Milano: “Ci sono state delle offerte importanti: Real, Barcellona Manchester United. Proprio quando l’Inter non andava bene. Era più semplice andare via, ma quando metti sulla bilancia il senso di famiglia, come stanno i miei cari in questo club… Non potevo abbandonare l’Inter in quella situazione. Ero il capitano e avevo una grande responsabilità”.

Sul mancato rinnovo con l’Indipendiente quando era ragazzo: “Iniziai da giovane nell’Independiente. Dopo 2-3 anni mi dicono che non faccio più parte della squadra perché sono piccolino. Ho pianto perché tifo per quella squadra. Per un anno non sono andato in un’altra squadra e ho fatto il muratore con mio padre che mi chiedeva cosa volevo fare da grande e mi ha spronato a riprovarci. Da lì iniziai la mia carriera. Ci sono più sconfitte che vittorie in una carriera. La sconfitta ti fa diventare ancora più forte. Per vincere bisogna saper anche perdere”.

Su come si impara dalle sconfitte: “Non è facile, ma la sconfitta va accettata. Magari incontri una squadra più forte o non sei in forma. Ho tre figli, due giocano a calcio e c’è questa pressione subito. Un bambino di 10 anni si deve divertire. Devono imparare i valori dello sport”.

Sul suo arrivo in nerazzurro: “Arrivo in Italia, presentazione alla terrazza Martini. Potevano giocare tre stranieri e l’Inter aveva preso Ince, Roberto Carlos e Rambert che era un mio compagno che era molto conosciuto. Io ero il quarto, allenatore Ottavio Bianchi. Per me era una grandissima opportunità. Inizio a giocare io a destra e Roberto Carlos a sinistra. E Maradona dice questa cosa qui”.

Sulla sconfitta più dura: “Fu una sconfitta durissima. Per tutto il campionato siamo stati primi, arriviamo a Roma con la Lazio e perdiamo all’ultima giornata. Dopo bisogna sempre rialzarsi, non era facile. Un campionato vinto”.

Su come ha affrontato quei momenti: “Digerire quella sconfitta non è stato semplice. Dopo un anno di sforzi… Ho preso questa sconfitta come parte del mio mestiere. Io per primo da capitano non dovevo mollare. Parlavo con Moratti e dicevo che il nostro momento prima o poi doveva arrivare. Il tempo poi ci ha dato ragione”.

Sul Triplete: “Tutto quello che è arrivato dopo è stato fantastico. Vincevamo in Italia e ci mancava vincere in Europa. Arrivò Mourinho, mi chiamò, si presentò dicendomi che io sarei stato il suo capitano. Parlava già italiano. Con José abbiamo fatto il salto di qualità che ci mancava. Ci ha convinto che potevamo arrivare alla Champions. Alla seconda stagione ce l’abbiamo fatta. Nel girone stavamo per uscire a Kiev. Ha una grandissima intelligenza, un uomo molto preparato. Nelle conferenze sapeva già cosa gli avrebbero chiesto. Al Camp Nou esce per primo, si prende tutti i fischi e poi fa uscire la squadra. Era uno stratega”.

Sulla chiave di quella stagione: “La nostra squadra era fatta da uomini, tutti con grandi personalità. Tutti avevano voglia di scrivere una pagina importante per l’Inter. Quella squadra sapeva superare tutte le difficoltà. La squadra più forte era il Barcellona di Guardiola. Noi li abbiamo battuti, con Messi con 10 anni in meno. Quest’anno un’altra finale di Champions, non capita spesso. I ragazzi se la sono meritata”.