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Duro attacco alla pausa nazionali: “I giocatori sono umani”

Diego Lopez, bandiera del Cagliari, parla al Corriere dello Sport: “Voli e stress. A 30 anni ho smesso. Secondo lui è “impossibile reggere”

“I giocatori sono umani, a pagare sono i club”. Il duro attacco alla pausa delle nazionali arriva da Diego Lopez, bandiera del Cagliari.

L’uruguaiano, intervistato oggi (giovedì 14 ottobre, ndr) dal Corriere dello Sport, è stato per anni chiamato nella sua nazionale, collezionando 39 presenze e una Copa America. All’età di 30 anni ha deciso di non rispondere più alle convocazioni in quanto i continui lunghi viaggi gli procuravano troppo stress. Il tecnico ha spiegato che la convocazione in nazionale, specialmente per un uruguaiano, è motivo di orgoglio ma con il passare del tempo le cose cambiano. La pandemia, inoltre, ha intensificato gli impegni in sudamerica. Attualmente i calciatori giocano ben tre partite in una settimana rispetto alle due di qualche tempo fa. Al loro ritorno nei rispettivi club risulta impossibile  essere al 100% e a pagare sono i club.

Secondo Lopez i viaggi dei giocatori impattano anche sullo spettacolo, ribadendo che gli atleti sono esseri umani ed è inevitabile che la stanchezza si faccia sentire. L’uruguaiano ha ricordato in particolare lo spareggio contro l’Australia per il mondiale del 2006, dove in solo quattro giorni è dovuto prima volare a Montevideo per poi raggiungere l’Australia. Tratte interminabile che di certo influiscono sul rendimento. Le nazionali sono un problema anche per gli allenatori dei club, che sono costretti a preparare i successivi impegni senza diversi elementi. A volte capita di riaverli a disposizione soltanto poche ore prima della partita (come nel caso di Lazio-Inter) e che l’allenatore debba necessariamente rinunciare a loro.

Diego Lopez, durante l'intervista al Corriere dello Sport, afferma che non c’è una soluzione a tutto questo ma che sarebbe impossibile fare un mondiale ogni due anni come invece ipotizza la Fifa. Il problema principale è rappresentato dalle qualificazioni che richiedono diverse partite. I club non sarebbero disposti a rinunciare ai propri calciatori così frequentemente, anche perché sono loro a pagargli lo stipendio.