Quando a San Siro correva un giaguaro

di Mario Spolverini, pubblicato il: 26/01/2019

Vedere Perisic che non salta l’avversario da quando al governo c’era ancora Renzi fa riflettere. E i tifosi diversamente giovani vanno indietro con la memoria, a ripescare nomi e immagini di giocatori che, sulla fascia (destra o sinistra che sia) hanno costruito le loro fortune e quelle dell’Inter.

Uno di quelli che accende più lampadine è di certo il Giaguaro Jair. Probabilmente perché il suo nome figura nel rosario più santificato e più conosciuto che la storia interista conosca. Nella filastrocca della Grande Inter di HH, Sarti. Burgnich, Facchetti, appena la litania svolta dalla difesa all’attacco, arriva il suo nome.

Voleva fare il ciclista da ragazzo. Il padre era così tifoso di un calciatore carioca degli anni 30, tale Jair Ademir, che decise di chiamare così il suo terzo pargolo.

Fu proprio il papà tifoso che spinse il giovane Giaguaro a non inforcare le due ruote e a dedicarsi al pallone. Scelta azzeccata come non mai, visto che il ragazzo a 22 anni era già nel giro della nazionale. Lì lo videro gli osservatori del Milan, lo guardarono, lo valutarono, e alla fine lo scartarono. Troppo gracile, dissero, per fortuna.

Gli uomini mercato dell’Inter non lo fecero neanche tornare in Brasile, a giugno del 1962 Jair era nerazzurro. 

Un ragazzino di 22 anni nella Milano del 1962 qualche problema poteva averlo. La saudade lo mangiava, in più il primo alloggio che l’Inter gli aveva trovato era nei pressi di un cimitero. La sua superstizione era tale che passava intere giornate sprangato in casa, finestre chiuse e samba a palla per sconfiggere la malinconia ed i fantasmi.

Passarono le prime settimane di campionato, Jair restò a guardare fino a novembre per problemi burocratici e per capire dove era capitato. Ma il ragazzo era sveglio. Ai primi di novembre Herrera gli consegnò la prima maglia da titolare nella trasferta di Marassi contro il Genoa. Impiegò 3 minuti per andare in gol, per dimostrare quanto avesse imparato in quelle settimane.

Da lì nacque un amore che non sarebbe mai più finito tra lui e i tifosi. Jair non era veloce, era qualcosa di più. Se nei primi metri dello scatto l’avversario poteva avere qualche speranza di restare attaccato ai suoi pantaloncini, era il suo secondo cambio di velocità a lasciare tutti per strada, salutando gli avversari per andare a recapitare il pallone nelle sagge estremità di Mazzola o Corso che dovevano finire il lavoro.

Spesso si metteva anche in proprio, Jair. Alcuni dei gol più famosi delle due Coppe dei Campioni di quegli anni portano la sua firma, il primo del 1963 in casa dell’Everton, quello che decise la finale del 1965 con il Benfica, nel diluvio di San Siro.

In quell’Inter delle meraviglie, tutta tecnica e raziocinio, Jair era il funanmbolo, l’estro impersonificato. I vecchi saggi gli volevano bene come ad un fratello minore. I giocatori di colore erano pochissimi a quei tempi, lui era quello con la maggiore visibilità. Qualche commento poco garbato volava anche a quei tempi ma “ci pensava Picchi, bastava una sua occhiata per mettere tutti in riga” ricordava tempo fa in una intervista.

Jair raccontava spesso della sua infanzia in Brasile, vissuta in campagna in mezzo agli animali da cortile. Un giorno Bedin arrivò con una gallina viva e vegeta come regalo scherzoso per il brasiliano. Quel pollastro ebbe un successo strepitoso, tanto da diventare la mascotte segreta della squadra. Stava con i giocatori negli allenamenti, andava in trasferta con loro in pullman. E quando un giorno qualcuno la dimenticò al ristorante, la squadra costrinse l’autista a fare marcia indietro per recuperarla.

La freccia nera, come lo chiamava qualcuno, aveva un solo punto debole, il colpo di testa. Non era questione di fisico ma di paura, dopo aver visto anni prima un compagno andare in coma per una zuccata in uno scontro aereo.

Quanto Jair sia ancora amato in casa nerazzurra è testimoniato da un piccolo episodio cinematografico di qualche anno fa. Aldo Giovanni e Giacomo, nella loro partita sulla spiaggia contro il Marocco per il recupero della “gamba” perdono clamorosamente, ma quando Giovanni realizza il suo gol (inutile) corre verso la telecamera come Maradona, urlando il suo “ma vieni Jair, il ritorno delle grande Inter…

Poi si torna a San Siro, si vede di nuovo Perisic …Vabbè,  facciamoci bastare il croato. I giaguari hanno lasciato San Siro da tempo…


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