Marotta a tutto tondo, pt.2: le parole su Suning, Barella e Icardi

di Gianfranco Rotondo, pubblicato il: 08/10/2021

Un Beppe Marotta a tutto tondo.

Il direttore generale dell’Inter ha parlato sul palco del Festival dello Sport di Trento di tantissimi temi, soprattutto inerenti al mondo nerazzurro, dal mercato, al nuovo modello di business, fino al ruolo della proprietà, soffermandosi anche su argomenti personali.

Sulla possibilità di cedere qualche altro big: “La escludiamo assolutamente. Voglio tranquillizzare i nostri tifosi che sono grandi appassionati: l'Inter esiste ed esisterà nel futuro. La competitività è garantita e nel calcio non vince chi spende di più. Esiste il patrimonio delle risorse umane composto da giocatori, allenatori, dirigenti. Se questa squadra è forte e ha un obiettivo, si può andare molto lontano al di là del nome del calciatore”.

Sull’eventuale ingresso di un socio: “Ingresso di un partner che possa affiancare Suning? Sono valutazioni che competono all’azionista, io mi esprimo da uomo di calcio. Per me la maggioranza deve essere sempre in mano ad una famiglia, entità o società altrimenti si creano dinamiche che possono avere ripercussioni sulla vita del club. Ci può stare l’ingresso di un socio di minoranza, ma non credo sia il viatico migliore perché non garantirebbe un cambio di modello che invece bisogna individuare. Noi con un pizzico di fortuna siamo riusciti a rimettere la macchina in carreggiata e a ripartire. L’importante è avere un progetto. Ci siamo trovati davanti a scelte difficili, come quando con Spalletti sotto contratto abbiamo preso Conte perché c’era stato un input da parte della proprietà che voleva una squadra vincente. Conte ha portato valori importanti all’interno della squadra”.

Sui calciatori: “I calciatori vivono in un mondo dorato e forse non hanno capito bene: non sono abituati ai problemi che ogni famiglia ha nella quotidianità. Sono dei ragazzi giovani che vanno educati: le risposte spesso sono positive, altre negative. Sta a noi educarli e dar loro la cultura. C'è stata una consapevolezza da parte loro di questo dramma, ma è stato vissuto più nell'ambito salute che nella riduzione dei compensi. Noi abbiamo rispettato la totalità dei contratti pagando tutto, ma l'abbiamo fatto alla luce delle performance delle ultime due stagioni. La premessa di questa vittoria è nata dalla stagione precedente e dalla finale di Europa League. Poi abbiamo convenuto di non andare a spingere più di tanto a fare una cosa che non si sentivano”.

Su Adriano Galliani: “In un viaggio a Roma per l'assemblea federale abbiamo avuto il Covid entrambi: è stato brutto e abbiamo rischiato la vita. Quando affronti queste difficoltà apprezzi la salute a dispetto dei discorsi economici e cerchi la bellezza della vita. L'altro ieri l'ho incontrato a San Siro e mi raccontava come una volta si incazzava per i risultati negativi, mentre oggi la prende con spensieratezza. Se si perde ci si arrabbia, ma affronti la vita con una visione diversa. Il calcio è un gioco e una professione: bisogna dare il massimo ma esiste la cultura della sconfitta. Io sono un innamorato del mio lavoro, avrei fatto questo anche per hobby: credo che una delle mie qualità sia l'applicarsi con grande umiltà e rispetto e con l'ambizione di vincere”.

Su Nicolò Barella: “E' uno dei casi in cui da talento si diventa campione. Io ho avuto a che fare con tanti talenti: Cassano è stato un fesso, da talento non è mai diventato campione, non ho mai avuto calciatori più forti di lui. Ma non aveva obiettivi, una visione precisa della professione. Barella ha dimostrato di affermarsi sempre più con continuità e oggi ci troviamo davanti ad un campione: è giusto gratificarlo economicamente per quanto ha fatto. Non è un rinnovo, è una gratificazione: è giusto adeguarlo ad una fascia importante di giocatori. Capitano? Sarebbe bello, Handanovic ha la sua età: il capitano è una qualifica che non si regala, bisogna avere le qualità professionali e umane per essere un leader. Barella può cominciare a diventarlo”.

Sull’ambizione della squadra: “Vincere è più facile rispetto a tenere un livello alto. Le aspettative di tutti sono quelle di vederci come campioni da battere: siamo contenti di questo ruolo, siamo l'Inter e non dobbiamo solo partecipare. Dobbiamo mirare più in alto possibile: ma bisogna valutare sia le proprie capacità sia quelle degli avversari. A volte investi tanto, a volte c'è chi investe di più ed è più forte. In Champions non si capisce la squadra più forte: lo Sheriff ha 6 punti. In campionato c'è una griglia di sette sorelle che stanno avendo nel Napoli il battitore vincente. E' prematura una valutazione definitiva. Io temo chi ha una cultura vincente più forte, la Juventus e il Milan: il Napoli è primo con merito però vincere è sempre difficile e che va al di là dei valori di una squadra. Sono valori che acquisisci nel tempo abituandoti a raggiungere gli obiettivi: quando parti per vincere devi saper cogliere tutti gli aspetti complementari come il centro sportivo, l'aspetto medico e dei magazzinieri, l'alimentazione… Se migliori queste aree, è più facile”.

Su Osimhen: “E' stato un acquisto molto oneroso, non era uno sconosciuto: è normale che diversi club l'avessero puntato. Poi ci sono le circostanze: noi lo conoscevamo ma in quel momento eravamo coperti”.

Su Mauro Icardi: “Non voglio criticare chi ha fatto la gestione prima di me: Icardi era un grande talento, è stato investito di responsabilità quando non poteva svolgerle. Io posso dire che è un ragazzo che si è sempre comportato bene. Le scelte sono state fatte su valutazioni differenti: quando cerchi di identificare un percorso e scegli le persone, devi avere una visione precisa. E' fatta di disciplina e di responsabilità: in quel caso l'allenatore ha valutato con la società una squadra. Conte li ha interpretati al meglio: ci ha lasciato qualcosa di importante e sta a noi non perderlo. Inzaghi ha le stesse qualità: alla base del successo ci sono questi aspetti”.


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