Inter strangolata dalla geopolitica, quanto può resistere?

di Mario Spolverini, pubblicato il: 26/08/2023

(Inter) L’ultimo grido di allarme è quello di Guardiola, l’Arabia sta cambiando il calcio, di fronte ai petrodollari nessuno si scandalizza più. I club europei mostrano un certo fastidio ma quando bussano alla porta stendono il tappeto rosso e vendono tutto.

La predica viene da un pulpito poco credibile visto il datore di lavoro del grande Pep, lui non ha molto da temere, ciò che l’Arabia toglie Abu Dhabi riporta. I problemi nascono per tutti gli altri club che non  hanno la fortuna di avere per proprietari sceicchi o fondi o meglio ancora entrambi. Il calcio mercato che conoscevamo fino a un paio di anni fa, fatto di domanda/offerta, rapporti più o meno buoni tra club, binari normativi uguali per tutti, è stato letteralmente stuprato dall’arrivo del nuovo interlocutore. Niente è, niente sarà più come prima.

Arabia: non solo il calcio, una campagna ben più ampia

Molti legano questa campagna di aggressione sportiva al mondiale per club che andrà in scena nel 2025, manifestazione che promette visibilità globale senza precedenti e premi in denaro mostruosi. La prima vetrina nella quale mettere in mostra i gioielli del calcio arabo in attesa che la Fifa assegni i mondiali 2030 e 2034. La candidatura araba è in via di preparazione, si parla di partnership con Egitto e Grecia.

Ma non è solo il calcio a cui occorre guardare. C’è ben altro, è in corso una manovra complessa, studiata da strateghi della geopolitica e realizzata step by step, finalizzata a mutare radicalmente la visione dell’opinione pubblica nei confronti del paese arabo, ancora alle prese con critiche più che giustificate in materia di rispetto dei diritti umani e  dei concetti basilari per i quali una civile convivenza può o non può definirsi democratica.

Si chiama sport washing, lo sport come maquillage per cancellare l’immagine di un regime autoritario e repressivo, fenomeno iniziato da qualche anno e che ha già avuto la prima esplosione con i mondiali qatarioti dello scorso anno.

Lo sport come fattore geopolitico

Lo sport in generale come bulldozer per scardinare e rinnovare l’immagine di un paese che l’occidente è costretto a mantenere come interlocutore per i giacimenti e la finanza, non certo per la cultura, per la spinta valoriale, per la capacità di incidere sui progressi civili di questa umanità. Ecco dunque lo sbarco nel 2021 (ovviamente a suon di milioni) nella Formula 1, ecco le Finals della  Next Gen di tennis da quest’anno e per 5 anni, ecco i Giochi Invernali del 2029 con una montagna artificiale in via di progettazione sul Golfo arabo. Ecco il nuovo circuito golfistico, il LIV nome che riporta alle cifre romane del numero 54 come le buche del nuovo formato anzichè le classiche 72 , più brevi, veloci ed attrattivi del grande pubblico televisivo. In questo scenario il calcio è lo specchietto per le allodole più impattante nel vecchio continente, abituato a farla da padrone quando si parla di palloni che rotolano su un campo verde ma rimasto ancorato a schemi antiquati per responsabilità di filiere di comando sempre troppo attente ai potenti di turno.

Qui gli arabi giocano la partita più facile: i campioni più celebrati stanno tutti qua, i talenti che stanno per esplodere pure. Mentre i club europei (quasi tutti, salvo le solite ben note eccezioni) fanno i salti mortali per rispettare le regole del FFP arrivano loro, mettono sul tavolo il malloppo e tornano a casa con i gioielli più ambiti. Loro non hanno regole da rispettare, paletti entro i quali muoversi, burocrati da ossequiare. Loro hanno la grana e tanto basta. La Fifa osserva, chiusa in un mutismo che si trasforma in complicità, il prossimo passo sarà lo sbarco di squadre arabe nella Champions League (notizia di qualche giorno fa).

La prima trappola per l’Inter

Anche l’Inter ovviamente ha dovuto fare i conti con questa realtà. Brozovic se ne è andato salutando i suoi tifosi con l’immagine di un circo di cui nessuno si è dimenticato. Anche lui si è riempito le tasche, l’Inter un po’ meno e questo resterà uno degli arcani di questa stagione. Perché i 18 milioni per il croato gridano vendetta a fronte di altri affari conclusi per giocatori di livello ben inferiore. Ma ormai è acqua passata. Così come l’offerta a Lukaku, non accettata ma che ha sicuramente contribuito a maturare la consapevolezza del belga di poter turlupinare il club nerazzurro a suo piacimento. Oggi è andata così e non arrabbiamoci più di tanto perché tutto sommato non è andata malaccio. Domani potrebbero essere Lautaro o Barella, Bastoni o Frattesi a finire nel mirino del Golfo.

Conclusione dolce/amara di questa prima riflessione: una volta (anni ’80) erano i club italiani  a razziare i migliori talenti in Sudamerica. E’ finito per questo il calcio in Brasile o in Argentina? No, perché la passione della gente non conosce limiti anche senza Zico, Careca e Maradona. Finirebbe l’Inter senza Lautaro venduto all’ Al Nassr? No, San Siro più o meno sarebbe sempre lì a cantare per tutti quei chilometri che ho fatto per te. Perché puoi avere risorse sconfinate ma se riempi gli stadi di controfigure pakistane, se manca la cultura sportiva alla base, se manca la passione autentica del pubblico quello sarà magari un bello spettacolo pieno di prime donne, luci e cotillon. Ma non sarà mai calcio.

La crisi cinese

Ma l’Inter è speciale in tutto. O no? E dunque oltre ai problemi della geopolitica araba sconta qualcosa in più. Qualcosa che la riguarda direttamente. Anche qui occorre una riflessione articolata.

La crisi di Evergrande (c’è chi la chiama fallimento altri messa in sicurezza rispetto ai creditori ma a noi frega il giusto) sta creando tensioni finanziarie enormi in Cina. Un altro colosso dell’edilizia, Country Garden, era crollato poco tempo fa sotto il peso di 200 miliardi di debiti. Soldi che evaporano come neve al sole, una bolla che scoppia e rischia di impantanare non solo l’economia cinese ma, a cascata, quella mondiale. Qualcuno che se ne intende parla di scenario simile alla crisi di Lehman Brothers del 2008, i più ottimisti limitano i danni ad un sostanzioso ritocco in basso del PIL cinese.

Scendiamo nel mondo nerazzurro. Suning aveva prestato qualcosa come 2,6 miliardi di euro a Evergrande nel 2017 sotto la promessa di dividendi spaziali. Dividendi rimasti nei sogni di Zhang Jindong ma non solo. Il capitale prestato doveva essere restituito nel 2021. Anche questo è rimasto un sogno, tanto che nello stesso anno il patron di Suning ha accettato di rinunciare al rimborso. Le ragioni ovviamente sono nascoste da qualche parte in Cina per cui è  difficile argomentare riflessioni anche semplicistiche senza poter conoscere gli antefatti.

Per l’Inter il peggio potrebbe ancora arrivare

Su una cosa però si può ragionare assennatamente. Se, come pare,  la crisi cinese abbatterà il potere di acquisto di milioni di  cinesi, uno dei soggetti che rischiano di essere più colpiti è proprio Suning, che trae i suoi maggiori ricavi dalla grande distribuzione nel settore elettronico, elettrodomestici ecc. uno dei comparti di consumi che risentono immediatamente e con gli effetti più pesanti di ogni periodo di penuria di spese e investimenti.

In poche parole il crollo di Evergrande potrebbe su Suning avere effetti  ancor più devastanti della pandemia.

Non è difficile immaginare che per l’Inter non si prospettino tempi brillantissimi (come se quelli passati lo fossero stati ma al peggio non c’è mai fine).  Suning e Zhang avevano iniziato la cavalcata nell’Inter come meglio non si poteva: immissione di capitali freschi, sponsor che arrivavano da tutto l’oriente, un’avventura sportiva pensata in grande, magari per aprire la strada del commercio europeo al gruppo.

Non è andata così ed il futuro ora è ancora più cupo. Gli Zhang hanno tutto il diritto di restare finche non trovano acquirenti capaci di mettere sul piatto somme tali da evitare loro perdite. Allo stesso tempo  hanno l’obbligo di garantire all’Inter le condizioni per continuare a competere per i vertici, in Italia e in Europa. Tenere insieme tutto è esercizio di equilibrismo difficilissimo e frustrante per i tifosi, nonostante i risultati degli ultimi due anni. Ma la realtà è questa e chissà per quanto tempo ancora, Oaktree a giugno 2024 potrebbe rappresentare il classico salto dalla padella alla brace.

Riuscirà l’Inter a resistere a questa tenaglia? Come e per quanto tempo ancora? Domande che attendono risposte nel prossimo futuro. Dal mio punto di vista un solo consiglio: chi mette le candele pregando per l’arrivo del PIF di turno ci dorma sopra e ci rifletta sopra bene e a lungo.


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