Inter, quell’attimo fuggente poteva cambiare tutto

di Mario Spolverini, pubblicato il: 13/06/2023

Ci sono attimi che cambiano una storia.

L’attimo di Istanbul arriva al 57mo. Akanji credeva di essere in spiaggia, Lautaro ci ha credto e lo ha uccellato da dietro, era defilato, aveva poco specchio, Ederson è escito alla disperata allargando il corpo quanto possibile.  Checcchè ne dica Caressa Lautaro non poteva darla a Lukaku, era in mezzo a due del City e dietro a loro, Brozovic era ancora fuori area. Lautaro è bomber di razza, doveva sapere che l’unica possibilità di far passare quella palla verso la porta era infilarla tra le gambe del portiere brasiliano. Non ha avuto questo riflesso, gli è uscito un tiretto a mezza altezza che Ederson ha coperto con relativa facilità.

L’attimo fuggente era quello, se Lautaro l’avesse messa dentro oggi probabilmente saremmo qui a raccontare un’altra storia. Il City avrebbe dovuto inseguire e sbilanciarsi, non il territorio di caccia preferito dai ragazzi di Guardiola, tutt’altro. Si sarebbero aperte praterie per i nerazzurri nelle quali correre e far correre i sogni della gente assiepata lì dietro. Nessun processo a chi si è messo l’Inter sulle spalle trascinandola fino alla finale sia chiaro, solo l’ amara constatazione di una situazione tra l’altro per niente facile.

Il resto viene dopo. Il gol di Rodri, la traversa di Dimarco, Lukaku prima in versione portiere sulla ribattuta di testa del laterale, poi va sul cross di Gosens con la stessa determinazione di chi deve pagare l’F24 delle tasse. Doveva andare così e così è andata ma il City non era “ingiocabile”, l’Inter lo ha reso piccolo e timoroso,  tre palle gol a testa, il City ha capitalizzato, l’Inter no la differenza sta tutta e solo qua. Episodi sfortunati, per vincere la Coppa occorre saperli allontanare. 13 anni fa l’Inter del Triplete ci riuscì, stavolta è andata diversamente.

Cosa rimane

Resta l’amarezza senza dubbio. Ma resta soprattutto l’impresa di una squadra che nessuno, ma proprio nessuno pensava potesse arrivare fino a Istanbul. Nessuno lo pensava 10 mesi fa dopo il sorteggio di Nyon, nessuno dopo le sconfitte a ripetizione in campionato, nessuno quando Inzaghi era sull’orlo del baratro con il settimo posto in classifica da gestire e la fila degli allenatori pronti a prendere il suo posto.

Resta la reazione di un gruppo che si è ribellato al plotone di esecuzione di  media e social,  ha tolto loro di mano le armi ai ed ha cominciato a sparare senza più sbagliare un colpo.

Resta l’empatia tra la squadra e la sua gente. Chi era a Istanbul ha potuto vivere attimi straordinari, in ogni angolo della città, ad ogni ora del giorno risuonavano cori nerazzurri, must assoluto per quella gente che ama solo te. L’attesa del piacere è stata essa stessa il piacere come diceva la pubblicità anni fa, il ricordo di quelle ore resterà vivo nella memoria almeno quanto quello del match.

Agli resta il piacere dello sfottò. Ci dobbiamo stare, sappiamo come funziona anche se è una logica perversa che inquina non solo il modo di vivere il calcio ma alla fine anche il modo di vivere.

Ma d’altronde ognuno gode come può…

 

 

 

 


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