Dimarco, l’Inter nel destino, con la fascia al braccio

di Giovanni Gallo, pubblicato il: 08/02/2023

Le bandiere non esistono più, lo sapevamo da un pezzo e ne abbiamo avuto conferma nei giorni febbrili del calciomercato di gennaio. Però ci sono storie da sottolineare con l’evidenziatore fluorescente: una di questa è quella di Federico Dimarco, uno che ha dentro l’Inter come valore di vita. Il ragazzo milanese, ma di origini lucane (entrambi i genitori sono di Irsina, in provincia di Matera), è diventato il punto di riferimento sull’out di sinistra dell’Inter. Il collante tra tifo e squadra, colui che è stato in curva con lo zio Sergio fin dalla tenera età e che, a furia di insistere e sognare, ce l’ha fatta a indossare i colori del cuore.

Federico Dimarco, Dima o Whisky per gli amici, è una rarità nel calcio centrifugato di oggi. Il ragazzo cresciuto nella periferia sudest di Milano, precisamente a Porta Romana, che ha iniziato a muovere i primi passi al Calvairate, guarda caso società satellite dell’Inter, è un patrimonio da preservare. Un esempio per i più giovani. L’educazione sentimentale all’interismo puro, che lui incarna in maniera splendida e assolutamente degna. Non ci può essere spot migliore per i colori del Biscione, non esistono, nel panorama nerazzurro recente, altre figure in grado di eguagliare Federico. Lui è nel novero dei grandi: Facchetti, Mazzola, Zenga, Zanetti, per citarne alcuni. Siamo a quei livelli là. Federico è nato nell’Inter, ha fatto avanti e indietro dai prestiti e ora si è conquistato il posto. Il posto che gli spetta quasi come un diritto divino.

Del suo sentimento profondo verso l’Inter ne abbiamo conferma ogni giorno di più. Del modo passionale di vivere i derby – e che derby gli ultimi – ce ne siamo innamorati. Federico, con megafono in mano, si è messo sulle frequenze di ogni interista e ha trasmesso onde adrenaliniche che si sono scaricate su ogni interista, come se ognuno di noi fosse lì, in mezzo al campo a festeggiare con la squadra, abbracciando ogni giocatore. Ne è passato di tempo da quando, bambino, lasciava la cartella nell’ortofrutta di famiglia di papa Gianni per sgattaiolare nel campetto in cemento non lontano con tanti sogni in tasca. Lui, che emulava i suoi beniamini, che allenava il suo sinistro guardando Vieri, che si è consacrato all’interismo con il triplete, come potrebbe non essere un predestinato?

Il ragazzo ha raccolto un’eredità pesante, quella di Ivan Perisic. Si diceva che non ce l’avrebbe fatta, che il peso della responsabilità lo avrebbe schiacciato. Invece Federico ha saputo ribattere colpo su colpo a ogni difficoltà, dimostrando una personalità superiore. Federico non è Perisic, perché ha caratteristiche diverse. Ma è proprio in quella diversità che l’Inter ha trovato l’oro. A volte si insegue un ideale, si è condizionati da un modulo o da un giocatore che è partito, cercando di ricreare per il sostituto le stesse condizione e chiedendogli le medesime cose. Niente di più sbagliato. Inzaghi l’ha capito e sta lasciando campo libero a Dimarco. In pratica ne sta esaltando e sfruttando le qualità. Sì, Dimarco non è Perisic, è molto di più.

Dopo la nota vicenda Skriniar, sta impazzando il totocapitano. Niente di più antipatico. Brozovic sarebbe un capitano a breve scadenza, vista l’età e viste anche le richieste che arrivano dal mercato per il croato. Bastoni, anche lui tra i papabili, ma spesso accostato a qualche squadra della Premier o al Real. Barella, un altro nome caldo, se rimane e non verrà sacrificato all’altare del bilancio, potrebbe essere un serio candidato. E poi Lautaro, sì, anche lui. Ma il suo valore continua a salire, riusciremo a trattenero a Milano? Nessuno di questi ha, però, ha le stimmate di Federico, con l’Inter nel cuore e la maglia nerazzurra sulle spalle e… sottopelle. Se in viale della Liberazione vogliono seguire il disegno devono lasciare che Dimarco continui a sognare.

Dimarco, un gran calciatore, milanese e depositario dell’interismo si muove nel solco dei grandi del passato che hanno fatto la storia interista. Ora deve alimentarlo quel fuoco che ha dentro, deve tenerlo vivo con la leggerezza di quando era bambino e con la semplicità del “tutto è possibile; deve accarezzarlo quel sogno, afferrarlo e trasmormarlo in realtà. Era dai tempi di Roberto Carlos che non si vedeva in talento così cristallino a calpestare le zolle a quelle latitudini. La maledizione della fascia sinistra è finita. L’imbarazzo dell’assegnazione della fascia al braccio è tolta. Prende tutto Federico, Dima o Whisky per gli amici.


Dalla stessa categoria

Le prossime partite

La classifica

Condividi su