Inter, Figc, Uefa, la corsa a chi sbaglia di più

di Mario Spolverini, pubblicato il: 01/02/2023

(Inter) Ieri fu Donnarumma, oggi  è toccato a Skriniar, domani verrà il turno di Leao o Osimhen.  Non è una gufata agli altri club è la fotografia dello stato attuale del calcio italiano, ridotto a fermata di transito verso campionati e club più ricchi.

Per come si sono messe le cose la vicenda Skriniar è sintomatica degli errori dell’Inter. Poteva andarsene l’estate scorsa, potevano arrivare 50 milioni più bonus. La scelta di chiudere il cancello al PSG fece entusiasmare i tifosi nerazzurri e incazzare i francesi che se la legarono al dito. Non ce lo date con le buone? Ce lo prenderemo con le cattive.

Il PSG sguazza nei soldi, la proprietà dell’Inter nei debiti, la differenza è tutta e solo qua. E ci faccia il piacere l’agente di Skriniar di non prenderci in giro con l’ambizione al “progetto sportivo”, giocare con Messi e Mbappè dà certamente qualche speranza di vittoria in più rispetto a correre vicino a D’Ambrosio e Calhanoglu ma in campo vanno gli uomini e i loro attributi, le schiere di galattici servono il giusto come dimostra il palmares dei parigini (una Coppa delle coppe e un Intertoto).

Competitività e ricavi

Nel caso di specie scrive Inter ma si legge Serie A (quasi tutta). Se lo merita il calcio italiano italiano di essere ridotto così? Per l’entusiasmo della gente che lo segue no, per l’ignavia di chi lo amministra da decenni si.

Tutti i club hanno un socio di maggioranza rappresentato dalle televisioni, senza i diritti televisivi non esisterebbe più la serie A. Funziona così anche negli altri campionati europei ma a differenza nostra:

  • riescono a incamerare risorse enormemente più rilevanti, specialmente nei diritti venduti all’estero
  • hanno capito che non si può vivere di sole TV e stanno aumentando l’incidenza dei ricavi commerciali.

Due fattori legati alla competitività dei campionati ed al loro appeal. I nove scudetti consecutivi della Juventus non hanno certo giovato alla competitività, dunque all’interesse del pubblico, per recuperare ci vorranno anni. Magari anni senza scandali vari che minano nel profondo la credibilità della manifestazione.

Per i ricavi commerciali servono strutture, stadi nuovi ed accoglienti, servono dirigenze illuminate in grado di proporre agli sponsor  progetti futuribili importanti, quasi visionari.

Premier mangia tutto

Merci di difficile reperibilità nel calcio italiano, vuoi per la sedimentazione di dirigenze di club  legate a concetti manageriali antichi, vuoi per filiere di comando in FIGC che da decenni non riescono a dare un’impronta che rompa la sfera della conservazione e apra le porte alla modernizzazione. Vuoi, infine, per il disinteresse di una classe politica che elargisce mancette per dilazionare le tasse ma non riesce da decenni a scrivere una legge decente sugli stadi. E per di più non riesce neanche a decidere se uno stadio antico e non più rispondente agli standard moderni può essere abbattuto o meno. Ogni riferimento a San Siro è puramente voluto.

Andrea Agnelli si è dimesso sotto il peso delle inchieste ma su una cosa aveva ragione. O il calcio italiano ed europeo riescono ad uscire dal letargo o la Premier fagogiterà tutto, fuoriclasse, buoni giocatori, risorse, interesse della gente. Occhio, anche in Inghilterra un processo di crescita di queste dimensioni non può essere eterno. Arriverà il momento in cui scoppierà la bolla e allora saranno dolori anche li. Ma nel frattempo i conti si fanno con quella realtà.

Anche su questo lato le iniziative latitano. L’Uefa guarda e incassa, guarda e chiude gli occhi perché non si può disturbare chi guida, specie se si tratta di sceicchi, fondi sovrani e potentati economici sorretti da banche e appoggi statali. Atteggiamenti che affossano la competitività, basta scorrere l’albo d’oro della Champions, dopo l’Inter nel 2010 solo 5 squadre si sono spartite i successivi 12 trofei.

Le soluzioni ci sarebbero ma nessuno le vuole

Una parziale panacea sarebbe l’introduzione del salary cap di stampo Nba. Un tetto agli ingaggi uguale per tutti, con la possibilità anche di sforare. Ma sullo sforamento ci paghi una tassa che viene redistribuita a tutti gli altri club. Si chiama luxury tax e anche questa è mutuata dalla palla a spicchi a stelle e strisce.

Sarebbe  bello vedere mr. Ceferin andare a tentare di spiegare allo sceicco di turno che non può spendere quanto vuole per la sua collezione di figurine. Magari tornerebbe  con la coda tra le gambe ma almeno manderebbe un segnale.

E di una regolamentazione europea per togliere potere ai procuratori ne vogliamo parlare? Flussi enormi di risorse che vanno a rimpinguare le casse di pochi eletti che niente hanno a che vedere con lo sport invece che essere destinate a impianti per le giovani generazioni o comunque allo sviluppo del settore.

E per quanto ancora si pensa di tenere le rappresentanze dei tifosi fuori dalle stanze che contano? I tifosi, quelli raziocinanti, sono gli stakeholder più importanti per le società, la vicenda della Superlega ne è stata una dimostrazione lampante. Inserirli gradualmente nei processi decisionali sarebbe una rivoluzione epocale, i club che adottano questo modello sono pochi ma hanno trovato un equilibrio assolutamente positivo tra managerialità e partecipazione.

Sarebbero tutte mosse ad altissimo rischio per la poltrona di Ceferin ma di impatto enorme. Potrebbe diventare il rivoluzionario illuminato invece di restare il tutore di uno status quo sempre meno credibile.

I signori dell’Uefa pensano alla sentenza della Superlega, decisione che toglierebbe loro potere e risorse. Farebbero invece bene a togliere di mezzo la Superlega che già c’è e che si ostinano a difendere.


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