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VAR e violenza uccidono il calcio, ognuno a modo suo

 

 Il calcio muore con la violenza negli stadi, tutti lo ripetono da anni e nessuno ha mai fatto niente. Dopo l’ultimo episodio di mercoledì scorso si sono levati gridi di dolore, di riprovazione schifata, analisi sociologiche vecchie come il cuccù.  Dichiarazioni con il viso feroce di una politica che si gira dall’altra parte da decenni, per alcuni di loro Stadio è solo il nome del complesso musicale bolognese di Gaetano Curreri, quelli di “grande figlio di puttana” tanto per rimanere in tema. Ma il calcio muore anche con l’uso cervellotico del VAR perché tutto il sistema diventa talmente ridicolo da perdere ogni credibilità.

Che dire dell’arbitro Valeri ieri in Juventus Sampdoria? Il Var lo richiama due volte, sui due rigori. La prima volta per fargli notare un errore chiaro ed evidente di cui non si era accorto (il fallo di mano di Emre Can). La seconda volta, al contrario, per richiamarlo sull’errore chiaro ed evidente del rigore da lui fischiato per i fallo di mano di Ferrari. Valeri non solo ha visto male, ma se ne sbatte anche delle immagini al VAR e conferma il rigore. Non lo diciamo noi io , lo dice un ex arbitro di serie A, Luca Marelli.

E non lo diciamo per puro spirito antijuventino, lo diciamo ripensando ai rigori negati all’Inter con il Sassuolo e con il Parma. Li il VAR non vide, non chiamò gli arbitri al monitor, li il VAR era spento o non funzionava. Dopo il primo periodo di rodaggio, l’anno scorso il VAR aveva evitato molti errori arbitrali e molte polemiche. Quest’anno con l’indicazione del “chiaro ed evidente errore” tutto si sta trasformando in un una pantomima.

Una recita in cui gli arbitri hanno ritrovato la loro discrezionalità, il loro potere che l’anno scorso avevano perso. Il Var gli aveva tagliato le unghie, la casta si è fatta sentire, la casta ha vinto. Una recita in cui le polemiche sono vitali per tutto il circo mediatico che vive di queste. Senza polemiche non esisterebbero molte delle trasmissioni che alimentano inciviltà e tensioni continue. Molti degli “opinionisti” sarebbero costretti a tornare al loro lavoro, molti nani e ballerine a trovarsene uno vero.

All’interno di questa cornice il calcio dà di sé stesso una raffigurazione sempre più meschina, una macchietta incapace di riconoscere il vortice autodistruttivo in cui si è infilato. E giustamente all’estero ridono di noi. E tutto per che cosa? Per garantire la messa in scena settimanale di uno spettacolo da baraccone in cui chi guida non ha regole e gli altri sono solo comprimari. Maurizio Zaccone, penna intelligente e raffinata del tifo napoletano ha chiosato così poco fa: “Gli altri devono fare solo i comprimari, far sostenere gli allenamenti ai futuri vincitori del 35° scudetto, o 37°, 38°, tanto anche quello lo decidono loro. Andrà avanti ancora per un po’, fino al n° 39, 40, 41. Poi, forse, verrà il tempo del 41bis.”