Un’altra corsa ancora, un’altra volta ancora Josè

di Mario Spolverini, pubblicato il: 06/04/2019

 

Lo abbiamo scritto e lo ripetiamo ancora: non è scritto da nessuna parte che con la qualificazione alla coppa dalle grandi orecchie in saccoccia anche quest’anno Spalletti debba lasciare. Ci sono almeno 20 milioni di buoni motivi per rifletterci sopra, 20 milioni di euro che il dirimpettaio della follia reclamerebbe giustamente come suo diritto contrattuale. Risorse preziose che sarebbero sottratte al mercato.

Ciò detto, se la volontà di Suning fosse davvero quella di cambiare, la storia dell’Inter indica una sola strada, e non è certo quella di Conte. Perché è un ex juventino? Anche, ma non solo. Soprattutto perché non è mai lecito andare contro la nostra storia, contro il Dna nerazzurro, mai! La stragrande maggioranza dei tifosi, quando si parla del possibile ritorno di Mourinho, è rosa dal tarlo del Triplete, dalla volontà di non rischiare di macchiare quel sogno. Come a dire, in buona sostanza, ho mangiato l’aragosta qualche tempo fa, era straordinaria,  ma ora meglio tornare alla cicoria per gustarla ancora di più.

Quel profumo di aragosta torna prepotente nell’aprile di ogni anno che Cristo mette in terra da quel 2010 in poi. Quella settimana di follia indescrivibile, racchiusa tra il 20 e 28 aprile, che fece vivere agli interisti più emozioni di quanti milioni di altre persone non hanno mai vissuto in una vita intera.

Chi non ha sentito il fremito di San Siro nella notte del 3 a 1 al Barca più forte di sempre non può capire. Non è colpa sua, ma non può capire. E tutto grazie a Mourinho, che mise in campo 11 interpreti meravigliosi, spinti da 45 anni di attesa spasmodica di milioni di persone. Un solo flash per ricordare agli immemori la grandezza dello Special: la capacità di pressare il Barca fin dall’inizio della sua manovra, Thiago Motta che recupera una palla sulla tre quarti del Barca con la tigna di un Benetti qualsiasi, il cross e il terzo gol del Principe Milito.

“Meglio morire con questi uomini che vivere in eterno da vili” fu il pensiero di Josè prima di entrare al Nou Camp per il ritorno. In 10 contro undici per quasi tutta la partita, assediati come Leonida alle Termopili ma capaci di gesta destinate all’immortalità dei ricordi. Come quel volo di Julio Cesar, lungo, interminabile come il sospiro dei tifosi davanti alla TV con i rosari in mano, quel volo che non finiva mai come nei cartoni animati, sulla sua destra, per arrivare con le unghie a deviare la saetta di Messi al 32mo del primo tempo.

E poi quella corsa di Josè in mezzo agli idranti assassini del Nou Camp, inutilmente accesi come ultimo baluardo spagnolo per fermare una gioia incontenibile. Mourinho che corre verso i suoi tifosi, con il braccio alzato e quel dito ad indicare quel “lassu” che stava aspettando l’Inter e gli interisti. Una corsa in mezzo ai nemici sconfitti, una corsa arrogante come lui, liberatoria da mille sconfitte.

Oggi è il giorno segnato dal destino delle loro vite…quella che volge al crepuscolo deve essere la sera della gloria” aveva declamato Caressa introducendo quella serata. La corsa di Josè in mezzo al campo fu davvero il sigillo del destino e della gloria.

Una corsa che finì meno di un mese dopo, fuori dal Santiago Bernabeu ancora ubriaco della gioia più grande di tutti i tempi nerazzurri, con Mourinho che disse stop per andare ad abbracciare in lacrime Marco Materazzi. Due uomini anche rudi se vogliamo, ma incapaci di reggere l’emozione più profonda dell’interismo moderno. Un momento di intimità quasi infantile, l’esatto rovescio della medaglia della corsa trionfante davanti al mondo sconfitto. In quella corsa, in quell’abbraccio c’è l’Inter che tutti si aspettano di rivedere.

Meglio continuare a sospirare ricordando quei momenti o pensare di ripeterli? Meglio continuare a sentire gli occhi che si inumidiscono riguardando quella corsa o sognare di correre ancora una volta insieme allo Special? Per quanto ci riguarda non abbiamo dubbi.


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