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Spalletti, remember “uomini forti per destini forti”? E in panchina ce n’è uno?

“Uomini forti per destini forti, uomini deboli per destini deboli” aveva detto mister Spalletti alcune settimane fa. Parole pesanti per alzare la consapevolezza della squadra all’inizio della stagione. Dopo la tramvata di Bergamo quella frase torna in mente come una frustata. C’eravamo illusi di essere diventati una potenza dopo la striscia vincente in campionato e dopo il pareggio con il Barcellona? No, chi lo avesse fatto avrebbe sbagliato clamorosamente. Avevamo solo sperato che i passaggi di Sassuolo e con il Parma avessero messo una pietra sopra alcuni atteggiamenti non proprio da grande squadra.

Se il Barca aveva rappresentato una prova d’esame sotto il profilo tecnico e tattico, la gara odierna di Bergamo era, per alcuni motivi, ancor più difficile da interpretare. Proprio perché veniva dopo il test con la massima espressione calcistica europea, di fronte ad un pubblico debordante d’entusiasmo, con l’imperativo di dimostrare che questa Inter può calcare degnamente questi palcoscenici. 

La difficoltà della partita odierna era evidente: l’Atalanta è una buona squadra, ottimamente messa in campo, con buone individualità e grande fisicità, ma non è il Barca e neanche il PSV probabilmente. Il problema di oggi stava tutto nella testa più che nelle gambe. C’era un quiz da risolvere: riusciranno i nostri eroi a dare prova di raggiunta maturità riuscendo a tenere alta l’asticella della concentrazione e determinazione anche dopo il massiccio dispendio di energie mentali prima che fisiche? 

La risposta che viene da Bergamo è evidente, ed è questo che fa incazzare, ancor più del 4 a 1. Quello di oggi non è l’errore di qualche singolo, di qualche giocata sbagliata da qualche giocatore, è un naufragio di gruppo, Handanovic escluso.

Non è presunzione di essere diventati forti all’improvviso è ancora peggio se vogliamo. E’ il ritorno ad un step che ormai credevamo passato, metabolizzato, alla condizione di una squadra incapace di reggere impegni e stress prolungati ad un certo livello per debolezza psicologica, non per arroganza.

La prova? Dopo un primo tempo finito con un solo gol di scarto per intercessione divina e per i meriti di San Samir, trovare un rigore che ti rimette in carreggiata dopo 20 secondi della ripresa doveva aprire gli occhi ed i neuroni. A quel punto una squadra forte di testa capisce la svolta e azzanna subito alla gola l’avversario per tentare di chiuderla. Invece buio pesto.

La giustificazione di Spalletti potrebbe essere “situazione tipica dei gruppi che ancora non hanno finito un percorso di crescita”. Vero.Ma siccome il pesce puzza dalla testa e senza voler aprire processi a nessuno (perché nessuno si è illuso di vincere campionato e Champions) anche Spalletti deve dare oggi qualche risposta meno filosofica e più diretta.

Con cinque giorni di riposo e con la sosta davanti, che bisogno c’era di un turn over così ampio? Le buone indicazioni venute dalla partita con il Genoa (Joao Mario) sono state frutto del caso o di un lavoro di mesi? E allora perché disperderle dopo sette giorni? Quale sottile ragionamento sta nella separazione della coppia difensiva forse più forte d’Europa in queste ultime settimane? E che senso ha togliere Miranda per inserire al suo posto D’Ambrosio? Gagliardini avrà diritto all’indennità da mancata esclusione dalla lista Champions per tutta la stagione o anche lui rientra nel novero delle normali rotazioni come tutti gli altri? E per non farci mancare niente: la forza fisica e l’entusiasmo di Lautaro, sull’ 1 a 1 potevano essere il segnale della carica che la panca poteva e doveva dare. O no?

I destini forti di uomini forti sono costruiti da maestri ancor più forti. Ne abbiamo uno in panchina? Noi continuiamo a ritenere di si, ma forse anche per mister Spalletti la sosta arriva al momento giusto per riconsiderare qualcosa nelle sue certezze granitiche.