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Inter-Napoli: tenetevi le lacrime, dateci le soluzioni, una volta per tutte

Inter-Napoli: basta chiacchiere e retorica: ci vogliono i fatti

Inter-Napoli doveva essere una festa di sport. Il match d’alta classifica tra la seconda e terza forza del campionato. Si affrontavano due delle migliori squadre del torneo, i cui allenatori non fanno parte della confessione “primo, non prenderle”, ma del partito “attaccare e condurre il gioco”. E in effetti sul campo si è vista una bella partita, interpretata bene da entrambe le squadre, che solo nel finale si sono allungate, consentendo ai nerazzurri di ottenere la vittoria sul filo di lana. Vittoria che, un attimo prima, era stata vanificata dal Napoli per un grande salvataggio sulla linea di Asamoah.

C’erano tutti gli ingredienti per un grande match da consegnare agli almanacchi. Invece ci resta solo l’amara constatazione di quanto grande sia la stupidità umana. Di come sia più facile dare sfogo all’Istinctus Bestialis che comportarsi da Homo Sapiens in nome di una superiorità qualitativa e di valore del genere umano rispetto agli animali. Superiorità che, a questo punto, possiamo dire solo supposta.

Questo pezzo avrebbe dovuto parlare di Sport. Invece è costretto a fare i conti con i “buu” razzisti all’indirizzo di Kalidou Koulibaly, il colosso senegalese, difensore del Napoli, colpevole di avere un colore di pelle diverso. Questo articolo ha il dovere – per quella cifra morale che ci etichetta come uomini – a riflettere su un morto, Daniele Belardinelli, già sottoposto a provvedimento di Daspo in passato, tifoso interista, colpito da un furgone guidato da tifosi partenopei, in seguito a tafferugli scoppiati prima della partita tra le due opposte frange. Una tragedia immane. Un epilogo che credevamo non più possibile per una semplice partita di calcio. Ci sbagliavamo: non solo è possibile, ma ci dice anche che la storia non ha saputo essere buona maestra. O noi, umani-animali, non in grado di essere buoni allievi.

Un tipo di bestialità che credevamo estinta negli anni Novanta. Un caso, quello di ieri, che riporta a alla mente la morte di Vincenzo Spagnolo, il tifoso ventiquattrenne che nel 1995 perse la vite per mano di una vile pugnalata al cuore da parte di un delinquente che si professava tifoso del Milan. Una morte vana, che non è servita ad insegnare il rispetto dell’altro e della vita. In epoca più recente, come non ricordare l’omicidio del quarantenne commissario Filippo Raciti nel 2007, ucciso al termine di un derby Catania-Palermo, nel tentativo di sedare la rivolta dei tifosi etnei contro la Polizia. Una perdita grave, una vedova inconsolabile a piangere il marito che non avrebbe più fatto ritorno a casa e morto nell’esercizio delle sue funzioni, per far rispettare l’ordine pubblico. Pensavamo di non dover più vedere morti così. Invece il copione si ripete.

Non è qui il caso di puntare il dito contro qualcuno, quando lo sport manda in scena simili aberrazioni abbiamo perso tutti. È una colpa che ci portiamo dietro indistintamente. È una colpa metafisica: che non può essere espiata se sei un tifoso di calcio, perché ti sentirai addosso sempre il peso dell’irreparabile. Le istituzioni devono operare prima che certi fenomeni esplodano. Sono anni che diciamo che le cose devono cambiare, che allo stadio devono poter andare tranquillamente le famiglie e i bambini. Ci vogliono provvedimenti intransigenti, Daspo e carcere duro per chi si nasconde vigliaccamente dietro la bandiera del tifo. Pene severe per chi utilizza lo stadio come zona franca, terra di conquista per commettere crimini pesanti. Se vado allo stadio mi aspetto di vedere uno spettacolo, non certo di trovarmi in mezzo a un far west dove devo schivare le pallottole per portare a casa salva la pelle.

Ci sono gli strumenti per colpire, che si mettano in pratica seriamente. Non serve a nulla, per come la vedo io, chiudere curve o vietare trasferte alle tifoserie, come affermato nelle ultime ore dal questore Cardona. In questo modo l’effetto della pena sarà mitigato. E il problema non si risolve. Si devono invece individuare quelle 150 persone autrici dei tafferugli, acciuffare quel migliaio di idioti che hanno insultato Koulibaly e nei confronti di questi attuare misure severissime, come l’inibizione a vita ad ogni manifestazione sportiva. Ci vogliono controlli, bisogna formare e coordinare le forze dell’ordine, mettere a loro disposizione gli strumenti e le tecnologie per intervenire. Presidiare gli stadi ed evitare ogni genere di commistione tra tifoserie organizzate e le società. Questo serve. Dobbiamo dire basta. E chiederci come mai, in oltre cento anni di questo sport, ancora non abbiamo una cultura sportiva degna di definirsi tale.

Certi personaggi, che si infiltrano nel tifo, sono delle mele marce che vanno isolate e messe nelle condizioni di non nuocere più. Questa gentaglia non può circolare a piede libero. Fin quando anche uno di questi può condizionare uno stadio intero lo sport uscirà sempre sconfitto. Il Governo si faccia carico di questo grave problema, convochi gli stati generali del calcio e imponga misure drastiche e impopolari. I questori e le questure facciano il loro lavoro con dovizia e attuino un gran dispiegamento di Polizia e di avamposti, attrezzati a fronteggiare qualsiasi situazione. Si parta, inoltre, dalle nuove generazioni, si insegnino loro i valori fondanti della vita e dello sport. Il rispetto delle regole. L’accoglienza dell’altro. La fraternità, l’amicizia e la gioia di festeggiare un gol assieme. Fin quando non faremo questo ci sarà sempre un’altra serata come quella di ieri, un’altra Genova e un’altra Catania.

Non ci lamentiamo, poi, quando ci troviamo di fronte a fatti di questa portata. Le tragedie si prevengono. La cultura si forma. Le precauzioni si prendono. Comincio a credere che ai governatori del calcio, finanche alla politica, vada bene così. Ogni volta, secondo loro, basta gridare al megafono “pene più severe” e ricominciare come se questo bastasse per ripulire lo sport; per ripartire senza macchia e senza onta. Ci vogliono provvedimenti mirati, perché altrimenti si rischia di fare di tutta l’erba un fascio: e non posso credere che i 65.000 di San Siro siano tutti delinquenti. Non è giusto che paghi anche chi è andato allo stadio tenendo un bambino per mano, che aveva altro spirito e altri sentimenti rispetto a chi è andato lì per fare guerriglia. Ridicolo, poi, condannare l’Inter a due partite a porte chiuse più una a ingresso vietato alla curva.

Ci vuole un cambio radicale, perché finora abbiamo fallito. C’è bisogno di volontà ad andare in questa direzione. Lo sport muove un sacco di quattrini e sotto ci sono ingenti interessi, ecco perché, forse, nessuno di quelli che potrebbe farlo prende decisioni risolutive, pronto a sposare una volta una tendenza, quella successiva un’altra, sacrificando tutto in nome del trasformismo. Ed ecco perché aveva ragione Giuseppe Tomasi di Lampedusa che, nel Gattopardo, fa dire a Tancredi: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Considero il mondo dello sport e la società come una pezza di formaggio, mentre razzisti e delinquenti dei vermi di poco conto; se il formaggio è buono i vermi difficilmente arriveranno al centro. Continuo a considerare razzisti e delinquenti vermi di poco conto. Oggi però sono meno sicuro che il formaggio non sia guasto.