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12 mesi fa erano due reietti, oggi sono l’immagine dell’Inter che torna grande

L’anno scorso in queste stesse giornate, l’aria sui social per loro due era irrespirabile. L’uno veniva tacciato di immobilismo sul mercato, come se sistemare i 30 milioni di plusvalenze fosse un compito da bambini dell’asilo. L’altro veniva regolarmente “invitato” a trovarsi un altro club lasciando libera quella maglia che aveva indossato con i gradi da capitano ma che nessuno (o quasi) voleva più vedere sulle sue spalle.

Piero Ausilio e Andrea Ranocchia sono le fotografie più nitide di come l’umore dei tifosi possa cambiare in così poco tempo. Leggiamo i vari social, oggi. Da stamani è un fiorire di elogi sperticati, di commenti entusiasti, di santificazioni immediate per il DS nerazzurro. L’arrivo di Nainggolan sta mettendo a fuoco l’entusiasmo della gente, dopo De Vrji, Asamoah e Lautaro Martinez.

Oggi Ausilio è diventato un raider del mercato, un re Mida che trasforma in oro tutto quel tocca, pur senza avere disponibilità enormi da investire. Uefa e Governo cinese stanno ancora stringendo i panni addosso a Suning ma le capacità del dirigente calabrese stanno emergendo con decisione. E dire che è la stessa persona che due anni fa fu messo in un angolo durante il mercato che vide gli arrivi di Gabigol e Joao Mario grazie alle buone azioni di quel Kia Joorabchian che in quei mesi imperversò sul mercato per conto della società.

Ed è lo stesso Ausilio che lo scorso anno visse un mercato all’ombra del totem Walter Sabatini, mago delle plusvalenze e della creatività nel compro baratto e vendo calcistico. Oggi Ausilio forse per la prima ha la responsabilità piena, totale, del mercato. I frutti si stanno vedendo ed i tifosi glielo stanno riconoscendo in pieno.

La storia di Ranocchia è ancor più strana. Andrea stava vivendo quei mesi come un incubo, tra le ironie più o meno pesanti che la rete diffondeva a piene mani. Quelle cattiverie avrebbero ammazzato un bue. Non Ranocchia però, che mise la testa bassa ed iniziò a pedalare in allenamento come un ragazzino alle prime armi. Forte anche della autorevole difesa che Spalletti ne fece fin dai giorni del ritiro di Riscone, quando fece vergognare un tifoso improvvido che stava esponendo a gran voce tutto il suo malumore nei confronti dell’ex capitano.

Ci sono due immagini di Andrea Ranocchia che hanno cambiato la sua storia nerazzurra dell’ultima stagione.  La prima, l’esordio stagionale a San Siro con il Chievo. Quando i tifosi capirono che Miranda non ce l’avrebbe fatta e che sarebbe stato il turno di Ranocchia, il tam tam malevolo fu sommerso dai post di incitamento e di fiducia. La gente nerazzurra aveva capito il dramma di questo ragazzo. E quando lo speaker del Meazza urlò il suo nome, non furono solo applausi, fu un boato, un’esplosione, una nuvola d’affetto che voleva dire “dai Andrea, siamo con te, abbiamo capito di aver sbagliato, tira fuori il meglio e noi faremo altrettanto”. Ranocchia fu uno dei migliori se non il migliore in campo quel pomeriggio.

Il secondo flash invece è recente e dura qualche minuto. Nella serata magica dell’ultima di campionato all’Olimpico, quando sta per partire l’angolo decisivo, Ranocchia freme, forza la mano a Spalletti e si fa mandare in campo per cercarlo quel pallone, per sbatterlo dentro la porta laziale, per entrare nella storia.

Non sarà lui a farlo sarà Vecino, ma cambia poco. Ranocchia in cuor suo sapeva di essere stato importante sul quel pallone, anche se il fato non aveva riservato a lui quell’emozione unica. Ma proprio l’emozione di Ranocchia per quel gol così atteso e per la vittoria che significava Champions furono l’immagine più bella di quella sera.

Andrea in ginocchio sul prato dell’Olimpico, la testa bassa tra le mani quasi a nascondere le lacrime di gioia. Perché un leader non può mostrare emozioni così profonde. A dispetto di molti Ranocchia è un leader vero, e lo è stato soprattutto nello spogliatoio, laddove serve gente non autoritaria ma autorevole. Per la storia, per il carattere, per la personalità. Lo ha capito Spalletti per primo e lo ha sancito con parole che fanno sentenza: “finche resto io resta anche Ranocchia”.