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Fabian O’Neill è volato in cielo per insegnare agli angeli a calciare col destro

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Paso de los Toros, ottobre 1980. La giornata è calda, soleggiata, temperata dalla brezza. Un gruppo di ragazzini si diverte con un pallone di stoffa cucito a mano da una giovane madre volenterosa. Sono dispari, per giocare ne manca uno, c’è solo Fabiàn, il più piccoletto, di sette anni. “E’ troppo piccolo – pensano gli altri – non è in grado di giocare con noi”. Fabiàn, di origini irlandesi, si allaccia le scarpette, accarezza dolcemente il pallone di stoffa, rivolge lo sguardo al bimbo più grande. La sfida è lanciata, troppo tardi per tirarsi indietro. Uno, due, tre dribbling, avversari saltati come birilli, il pallone calciato di destro si infila nell’angolo basso di una porta delimitata da due piccoli rami. “Mi chiamo Fabiàn O’Neill, ho sette anni e sogno di diventare calciatore”.

Cagliari, novembre 1995. 
Due tifosi rossoblù si esaltano al punto tale da ricordare i tempi di Gigi Riva. “Abbiamo preso un fenomeno, un genio, uno che con i piedi è bravo quanto Zola”. O’Neill è davvero un genio, con la maglia numero 10 sulle spalle incanta Cagliari. Il genio, come diceva Abramo Lincoln, disdegna le strade battute e cerca regioni ancora inesplorate. Le strade battute appartengono all’uomo comune, la retta via, per un genio, può diventare monotona. Ecco allora che al compagno saggio, Fabiàn il genio, o meglio “El mago”, come lo ribattezzano i tifosi, preferisce la sregolatezza. E l’alcool, nel quale celare la malinconia. Tutto sembra funzionare alla perfezione almeno fino alla retrocessione del ‘97. “Ubriacone” – è l’urlo che parte da qualche tifoso, magari gli stessi che un anno dopo, a promozione ottenuta, gli offriranno da bere. O’Neill non chiede comprensione, accetta quel bicchiere di vino e tiene i suoi demoni custoditi nel suo animo.

Torino, estate 2000. 
Nella Juventus di Del Piero, Zidane, Montero e Fonseca, c’è spazio anche per Fabian O’Neill. Un matrimonio che sembra destinato a funzionare, ma O’Neill ama una vita fuori le righe, trascorre tempo con Bacco e Venere e si addormenta sul bancone di un bar. La Juventus lo congeda e lo manda a Perugia, un modo per ritrovare il talento sbiadito.
Perugia, marzo 2002. Luciano Gaucci lo accoglie per rimpiazzare Fabio Liverani. O’Neill sta bene a Perugia e regala al pubblico biancorosso la sua ultima magia italiana. Di fronte al Grifo c’è quel Torino mai amato. Fattori atterra Vryzas, è calcio di punizione dal limite. La distanza è importante, quattro metri dalla lunetta che delimita l’area di rigore. O’Neill prende il pallone e lo accarezza dolcemente, proprio come aveva fatto ventidue anni prima con quello di stoffa amorevolmente cucito da quella giovane mamma. Sorride, alza gli occhi e rivolge lo sguardo verso Bucci. La sfida è lanciata, è tardi per tirarsi indietro. L’arbitro fischia, uno, due, tre passi, pallone accarezzato col destro fatato e tanti saluti a Bucci. Apoteosi al Curi.
Montevideo, 25 dicembre 2022. Fabian alza gli occhi al cielo, un’ultima volta, poi sorride. Di fronte a sé c’è Diego Armando Maradona, El Pibe de Oro“Hola Fabian, sono venuto a prenderti. Io calcio di sinistro, gli angeli hanno bisogno di un talento come te che sappia calciare col destro”. O’Neill è pronto, chiude gli occhi per l’ultimo viaggio.
Agli angeli insegnerà a calciare col destro. Si chiamava Fabian O’Neill, a modo suo è stato un genio, o meglio, un mago. Le sue magìe hanno fatto sognare tantissimi tifosi. Si è divertito, si è esaltato, adesso è pronto per insegnare agli angeli a calciare col destro, ma non chiede comprensione per le sue debolezze.