Mourinho-Inter: il ritorno di un vincente diventa possibile?

di Antonio Cantafio, pubblicato il: 05/05/2017

Il sogno dei tifosi si chiama Mourinho?

Mourinho – Inter | Anno 2017. Anzi anno settimo p.t. ( post triplete). L’Inter si ritrova a quattro giornate dalla fine del campionato, a dover combattere per il sesto posto. Stagione finita. Iniziata male e finita peggio. Ma come si è arrivati ad essere in queste condizioni? Il motivo parte da lontano e per questo è necessario un flash back.

Era il 2004. Sulla panchina nerazzurra arrivava un certo Roberto Mancini, non un allenatore top all’epoca, ma sicuramente uno di quelli che la serie A, l’aveva vissuta fino al giorno prima. La squadra costruita è forte, ma di quelle che in quel momento, oscuravano tutto e tutti; almeno in Italia.

Il tifoso interista, sente finalmente il sapore dell vittoria, come non lo faceva da tanto. In cuor suo però, sa che non basta. L’ Europa è lontana e i marziani l’hanno conquistata. Sa che non può competervi ancora. Intanto un tecnico portoghese, porta alla conquista della champions il Porto. Josè Mourinho non ci crede; eppure è riuscito in un’impresa incredibile. Passa a Londra sponda Chelsea. Anche lì vince.

Il presidente Moratti allora dice: “lo voglio. Portiamolo a Milano, vediamo cosa succede. Bene. Mourinho arriva e Ibrahimovic va via. Strano gioco del destino: chi ti poteva far vincere le partite da solo se ne era andato.

“I marziani non si possono rifiutare“, fa sapere. Voleva vincere la coppa dalle grandi orecchie. Pensava che lì sarebbe stato più facile. Ironia della sorte, incontra l’Inter. Quelli vestiti di nerazzurro che aveva snobbato, per andare in una squadra vincente.

Succede di nuovo: il portoghese passa ed esulta come un ragazzino. Valdes lo prova a fermare perché è troppo pure per il Camp Nou. Ma Oriali lo allontana dalla marcatura e si mette a saltare pure lui.

Attenzione: Oriali. Quello che i Cinesi vogliono di nuovo a Milano

Bene. L’Inter prosegue. Anzi la vince proprio la Champions League contro il Bayern Monaco. Se la portano a Milano per metterla in bacheca. Tutti piangono. Forse perché sanno che dal giorno dopo cambierà tutto.

Arriva il triplete, ma quell’aura di magia sta lentamente svanendo. Intanto la premier diventa semore più ricca. Sceicchi e diritti tv hanno fatto scorta di denaro e piombano in Europa, come dei veri invasori. Mou, è andato. È andato perché più dell’impossibile non poteva fare. È andato partendo da leggenda, facendo qualcosa che ancora oggi nessuno è riuscito.

I blancos lo annunciano e lo acclamano come il salvatore della patria. Il portoghese sfida la sorte e si rimette contro i Marziani. Inizia un rapporto amore/odio verso colui che diventerà la sua piu grande ossessione:  Guardiola. Lo dice anche Condò in un suo servizio: Mou senza Guardiola non vuole più esistere. Il suo ego non vuole più esistere.

Anche a Madrid vince. E lo fa con il suo stile e la sua originalità. In mezzo al campo viene abbracciato dalla squadra con cui chiuderà il rapporto, forse nel peggiore dei modi.

la necessità di avere in gruppo coeso, serve per poter creare una squadra vincente. Se non posso essere con loro, sarò il loro problema comune. Saranno uniti, vedrete”.

Frasi che sprizzano personalità fino all’inverosimile. Una dimostrazione di egocentrismo al limite dell’onnipotenza. Però così vince. Avrebbe potuto perdere e sarebbe stato ricordato come uno sfacciato. Invece vince come pochi sanno fare.

Ritorna a Londra, dal suo Chelsea

Vince la Premier. Tutti lo ricoprono di parole d’amore, fino a meta stagione dell’anno successivo fino a quando non viene…. No. Non viene esonerato. A Mourinho non si fa. A Mourinho gli si chiede, se non è un problema, se può farsi da parte, perché la squadra non sta andando bene. In tutto il mondo si esonerano gli Allenatori. Ma a Mourinho non succede. Non è forse anche questa una vittoria? A suo modo si.

Oggi guida i Red Devils, un club che con la vendita delle magliette, può decidere di comprare la serie A. Riparte la sfida con Pep. Forse non vede l’ora di affrontarlo. Di nuovo tutti lo criticano, lo provano ad annullare affrontandolo di petto. Eppure la storia dovrebbe aver insegnato che la dialettica è la sua arte.

Non combatte per la Premier, ma per un posto in Champions, proprio con il suo Pep ridando però solidità e credibilità ad una squadra che d troppi anni, era rimasta schiava della sua storia. Forse ricerca questi scontri perché battere un avversario di grande livello, ha un sapore diverso. Forse non la chiama nemmeno vittoria. O forse non possiamo capire, perché nell’arte spesso non vi è ragione.

In tutto questo, arriva il fulmine a ciel sereno. Ieri sera al termine della partita giocata con il Celta, dice a di essere contento che Oriali tornerà. Aggiunge che un giorno potrebbe farlo anche lui. Ecco che il cuore si infiamma e la testa comincia a viaggiare indietro nel tempo. Un ricordo troppo bello, ma allo stesso tempo amaro.

Forse all’epoca non ci si era resi conto dello spessore del personaggio che in realtà è. Non se ne aveva cognizione perché fino ad allora non era mai esistito. Un individuo capace di dettare a tutti la legge della vittoria. Lui che ce l’ha nel sangue. Lui che non ha imparato da nessuno a vincere. Lui lo ha solo desiderato e trasformato in realtà. Un mago che dovunque è andato, ha creato un’alchimia unica e indimenticabile.

La sua arte? La vittoria. L’arte della vittoria.


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