Editoriale

Inter, una vittoria piena di capriole

Se c’è un’immagine che riassume alla perfezione la vittoria dell’Inter sulla Juve sono le capriole.
Quelle di Thuram e Barella a fine gara con tutta la squadra sotto la curva Nord. Gli altri si godono il trionfo, loro due giocano come bimbi impazziti di gioia volteggiando per aria come ginnasti a corpo libero.
Sugli spalti si è temuto più per quelle piroette che non sul controllo sbagliato da Vlahovic, 1000 euro di multa ai due giovanotti per eccesso di felicità.

Le capriole di Allegri

Le capriole di Allegri che adesso non ride più. La sua ironia livornese è stata condita prima con il silenzio della dirigenza davanti ai microfoni e poi con una prova in campo che vale una sentenza. Verona, Monza e Fiorentina hanno creato molti più problemi alla difesa nerazzurra di quanto non abbiano fatto il signor 90 milioni serbo e la stella del futuro Yildiz, Acerbi e Bastoni se li sono messi nel taschino e portati a spasso per 90 minuti più recupero.
Oggi Allegri parla di inesperienza con una squadra costata quasi il doppio di quella nerazzurra, di secondo tempo con occasioni da entrambe le parti. Si arrampica sugli specchi come può, meglio la versione guardie e ladri e cavalli da corsa.

Le capriole degli altri

Le capriole di tutti coloro che su stampa e Tv hanno passato lunghe giornate a seminare dubbi, ricordi, profezie sperando di mandare Inzaghi ed i suoi in overdose di stress.
Ce li ricordiamo tutti, chi ha paragonato Pavard a Paramatti, chi ha parlato di Inter in testa solo per grazie arbitrali, chi ha parlato di Inzaghi inadeguato rispetto al suo collega bianconero.
Oggi sinfonia diversa, Inter tra le top europee, Inzaghi maestro di calcio, scudetto già assegnato.

La capriola più bella

La capriola più bella resta però quella dell’Inter, in passato quasi sempre attanagliata nella mentalità del figlio di un Dio minore davanti ai bianconeri.
Un passo avanti lo si era già visto all’andata, ieri sera l’Inter ha dominato gli avversari anche e soprattutto come mentalità, personalità, chiamatela come volete.
Merito del processo di crescita dell’ultimo anno culminato con la finale di Istanbul e merito soprattutto di Inzaghi.
Il Calhanoglu regista di dimensione mondiale lo ha plasmato lui, la trasformazione di Dimarco da giovane di belle speranze a leader incontrastato sulla sua fascia è opera sua. Mkhitaryan, Darmian e Acerbi erano zavorra per altri club e per i soloni delle parole, Fabrizio De Andrè direbbe che lui sta tirando fuori i fiori da quello che altri consideravano letame.
E’ stato dileggiato nel confronto con chi lo aveva preceduto, ha sbagliato, ha subito il fuoco amico, ha fatto tesoro dei suoi errori, ha usato quel che altri rifuggono, la modestia l’educazione, il buon senso ed il realismo come armi affilate. Il tempo ed i risultati gli stanno dando ragione.

E ora?

Ora occhio ancora una volta ai falsi profeti. Gesto apotropaico a parte lo scudetto è assegnato una cippa, mancano 4 mesi, l’imprevisto è dietro ogni angolo. Il futuro parla di Roma e Salernitana, il fiore nato con la vittoria di ieri sera va annaffiato continuamente per farlo crescere.
Poi sarà di nuovo Champions. Altre di quelle notti che profumano di impresa, che esaltano San Siro e il suo popolo. Inzaghi insieme ai suoi ragazzi e a tutti i tifosi quelle notti se le sono meritate fino in fondo. Viverle sarà un’altra botta di adrenalina positiva comunque vada.

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