Adriano, l’imperatore diventato incredibile Hulk, è tornato a sorridere

di Raffaele Garinella, pubblicato il: 01/01/2019

Leggero, nel vestito migliore, senza andata né ritorno, senza destinazione. Ci sia concesso di prendere in prestito le parole dello straordinario Luciano Ligabue. L’obiettivo è quello di provare a descrivere Adriano Leite Ribeiro. Nel momento migliore della sua carriera, nel pieno della sua forza, ecco arrivare l’alcol. Un infido traditore col solo obiettivo rubargli l’anima.

La bomba di Madrid

Il vestito migliore è fatto di nero e d’azzurro, che Adriano indossa per la prima volta nell’agosto del 2001. Di scena al Santiago Bernabeu, la nuova Inter di Hector Cuper, l’Hombre Vertical, riesce ad impensierire, e non poco, i futuri campioni d’Europa.

Adriano è solo un giovane attaccante brasiliano di belle speranze, cresciuto a Vila Cruzeiro, e prelevato dal Flamengo, in cambio di Vampeta, una meteora della storia nerazzurra. Cuper lo getta nella mischia al posto di Bobo Vieri, ed il prode giovanotto non si fa certo pregare per mettere in mostra le qualità in suo possesso.

C’è una punizione dai venti metri e sul pallone si porta Adriano, un colosso in apparenza, ma che cela delle fragilità emotive pronte ad esplodere, come una bomba ad orologeria, qualche anno più tardi. Ma andiamo con ordine, ad esplodere, in quella occasione, è il bolide con cui Adriano trafigge Iker Casillas. Una sassata che il portierone dei futuri galacticos non vede neanche partire.

È solo l’inizio di un matrimonio fatto di alti e bassi. Un altro gol al Venezia, per il 2-1 finale, una rete in Europa, e poi via. Chiuso da Ronaldo e Vieri, ma anche da Ventola e Kallon, preferisce farsi le ossa in un’altra piazza.

Firenze, Adriano non basta

Nella città che fu di Batistuta, il giovane Adriano ha modo di apprezzare il Rinascimento, passeggiando tra i vicoli che videro Dante Alighieri turbato ed innamorato. Piazze e strade in cui Leonardo e Michelangelo si sfidarono a colpi di arte, disquisendo animosamente sulla pittura e sulla scultura.

Conosce Roberto Mancini, che di lì a qualche anno, avrebbe ritrovato in riva ai Navigli. La stagione di Adriano è buona, arricchita da sei reti in quindici presenze. Quella della Fiorentina si conclude con la retrocessione sul campo e con un boccone ancora più amaro, il fallimento in tribunale.

Il Giglio è costretto a rinascere con il nuovo nome di Florentia Viola, ed Adriano è già un lontano ricordo.

La Parma diversa da quella di Stendhal

Il pallone, forse unico amico fidato della sua vita, lo conduce a Parma, lungo la via Emilia. Nella città dove non consumare dell’ottimo prosciutto equivale ad una bestialità, Adriano non incontra il principe Ranuccio Ernesto IV.

La Parma immaginaria descritta da Marie-Henrie Beyle, noto come Stendhal, è ben diversa da quella reale. Ci sono protagonisti differenti, ugualmente importanti, se non di più. Da Prandelli a Mutu, da Nakata a Gilardino, senza dimenticare Frey. La stagione è soddisfacente, quinto posto e qualificazione in Europa.

Con Adrian Mutu compone una coppia gol molto prolifica e perfettamente armonica.

La convivenza con Vieri riposta nel cassetto

Nel gennaio del 2004 arriva la chiamata di Massimo Moratti, che lo riporta a Milano. Adriano rientra alla casa madre dove non ritrova Hector Cuper, l’uomo che lo aveva lanciato in nerazzurro, ma Alberto Zaccheroni. L’ex allenatore di Udinese e Milan ha in mente di far coesistere l’asso brasiliano con Bobo Vieri.

I due centravanti hanno caratteristiche molto simili, sono diversi da Bierhoff ed Amoroso, o da Sheva e Weah. Appare difficile, se non impossibile schierarli contemporaneamente. Zaccheroni ripone l’idea nel cassetto delle utopie, e l’asso brasiliano si prende l’Inter, diventandone il centravanti titolare.

L’Augusta Perugia lo vede trasformarsi in Hulk

Sotto il cielo di Perugia dove, secondo Guido Piovene, si respirano grazia, gentilezza, e dolcezza morale sciolta nell’aria, Adriano si trasforma da imperatore in supereroe. Le mura della sublime città umbra, che hanno visto segni di tutti i secoli e di tutti gli stili, dall’etrusco al neoclassico, trovano il tempo per ammirare, e non certo con il cuore colmo di gioia, le prodezze del talento venuto dal Brasile.

A farne le spese è proprio il Perugia di Luciano Gaucci, con Serse Cosmi in panchina, alla ricerca disperata di punti salvezza. Mancano quattro minuti al termine di una gara che i grifoni conducono per 2-1. Gli umbri,- che hanno colto due pali con Obodo e Fabiano-, sembrano in controllo totale della partita.

Mai dare per morto il biscione, soprattutto se ha nei denti il veleno letale sprigionato da Adriano e Martins. L’Inter vince 3-2, riuscendo, inaspettatamente, nell’impresa di ribaltare la partita negli ultimi minuti. Adriano realizza una straordinaria doppietta in quella che sarà una vittoria cruciale per la rincorsa alla qualificazione in Champions League.

Saranno proprio i nerazzurri ad accedere al tabellone della coppa dalle grandi orecchie. A rimetterci, quella Parma che lo aveva accolto come un ragazzino, e che lo aveva visto allontanarsi in una giornata nebbiosa di un gennaio di qualche anno dopo, direzione Milano.

Alla ricerca del sole della gloria, abbracciato in un pomeriggio di maggio.

Ciao papà

Nel momento migliore della sua vita, nel periodo professionale maggiormente soddisfacente, ecco giungere la tragedia più grande, del tutto improvvisa, inaspettata, ferocemente brutale. Adriano perde suo padre Almir, quarantaquattro anni, trovato privo di vita nella sua casa di Rio de Janeiro.

Un malore improvviso lo strappa al sorriso e all’amore di quel figlio che, mai come in quel momento, avrebbe avuto bisogno della sua dolce mano, della sua impareggiabile saggezza, per attraversare le selve oscure dell’esistenza.

Adriano non si riprende da quel duro colpo. Si chiude in se stesso, colpito, ma non ancora affondato, dal male di vivere che chiamano depressione. A dargli il colpo di grazia ci pensa l’alcol, falso e meschino. Con l’illusione di obnubilarlo e di scacciarne via dalla mente i tristi pensieri e le angosce più grandi, lo tramortisce e lo getta nel profondo pozzo della dipendenza.

Adriano trova pace solo bevendo, agli allenamenti si presenta ubriaco. L’Inter, come un pastore con una pecorella smarrita, cerca di recuperarlo, di ricondurlo sulla retta via, ma non ci riesce. Nel 2009 è costretta ad alzare bandiera bianca.

Ritorno alle origini, ritorno a sorridere

È in Brasile, a casa sua, che Adriano riesce a ritrovare, con calma e tanti sacrifici, quel sorriso che aveva contagiato tantissimi tifosi nerazzurri. Quando un’emozione gioiosa tocca il suo cuore, Adriano non sorride solo con la bocca, ma anche con gli occhi. Che si illuminano, si ingrandiscono, brillano di luce intensa.

Un sorriso così bello, non può essere nuovamente smarrito. Adriano lo ha compreso, e molto bene. Se casomai l’alcol dovesse tornare a bussare alla sua porta, il prodigioso brasiliano si farà trovare pronto, agguerrito e forte così come lo era contro gli avversari. Siamo certi e convinti che prenderà la bottiglia e la posizionerà con cura sul pavimento. Una brevissima rincorsa, e poi una bomba pronta a scagliarla il più lontano possibile.

Come quella che bucò la rete del Real Madrid nel lontano agosto di diciassette anni fa. E se non fosse sufficiente, basterà guardare il mare. Nell’azzurro dell’Oceano Atlantico, dalle onde forti e possenti, ritroverà la forza di suo padre. Che sarà sempre accanto a lui, pronto a proteggerlo da qualsiasi rischio.


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