Frank De Boer, l’allenatore che all’Inter non ebbe il tempo di fare la rivoluzione

di Raffaele Garinella, pubblicato il: 24/11/2020

L'Inter è nel pieno della rivoluzione. Societaria, ma anche tecnica. Dopo che Suning ha rilevato il pacchetto di maggioranza da Erick Thoir anche la panchina nerazzurra cambia padrone. Roberto Mancini si separa dall'Inter per la seconda volta, dopo un'avventura durata appena venti mesi. Una telenovela, un tira e molla che si conclude nell'agosto del 2016. Come nuovo allenatore viene scelto Frank De Boer. Un rivoluzionario, almeno così credono in Olanda dove ha condotto i lancieri dell'Ajax ai fasti d'un tempo. Quattro campionati ed una supercoppa, ma soprattutto un calcio totale, dove al gioco spumeggiante si abbina pressing costante. Sono questi i motivi che spingono Suning a pensare che sia Frank De Boer l'uomo giusto per la nuova Inter, il Messìa della panchina nerazzurra. 

 

“Il nostro obiettivo è quello di provare a dominare l'avversario. Sono qui per vincere. Questa squadra può seguire la mia filosofia di gioco”. 

 

Sono queste le prime parole di Frank De Boer da allenatore dell'Inter. Parole che lasciano presagire un futuro roseo, luminoso, costellato di successi. Il campo, supremo giudice, si esporrà diversamente. Alla prima giornata l'Inter capitombola nella fatal Verona, schiacciata da un Chievo pronto a decollare sulle ali di uno scatenato Birsa, autore di una doppietta. De Boer accantona il 3-4-1-2, modulo d'esordio, per nulla produttivo, e registra la squadra dapprima puntando sul 4-3-3, poi passando più stabilmente al 4-2-3-1. Il pareggio casalingo contro il Palermo e la vittoria di Pescara ottenuta all'ultimo tuffo lasciano ben sperare in vista del big match della quarta giornata di campionato contro i campioni d'Italia, passati e futuri, della Juventus. Neanche le brutte figure in Europa scoraggiano De Boer che contro i bianconeri punta al colpo grosso. 

18 settembre 2016. In uno stadio di San Siro gremito e pronto ad osannare ed esaltare i propri beniamini, è l'Inter a fare la partita. Medel e João Mario proteggono la difesa, col portoghese magistrale nel dettare i tempi di gioco. Candreva, Banega ed Edér supportano Mauro Icardi. La Juventus si chiude affidandosi alle ripartenze, caro e vecchio contropiede di una volta. Dopo aver rischiato in più di un'occasione la Vecchia Signora si porta immeritatamente in vantaggio con Lichtsteiner, bravo nell'unico tiro in porta degli ospiti in sessantasei minuti. La Juventus non ha neanche il tempo di festeggiare perché Mauro Icardi dopo soli due minuti realizza il gol del pari. Il suo colpo di testa non lascia spazio a Gigi Buffon. Passano altri dieci minuti, e l'Inter completa la rimonta, ancora con un colpo di testa, questa volta di Ivan Perisic. È 2-1 per l'Inter, ed il punteggio non cambierà più. L'impressione è che l'Inter sia finalmente diventata squadra, e che squadra. La cura di ogni dettaglio è meticolosa, quasi maniacale. Ma è solo un'illusione, una delle tante di una stagione sfortunata. De Boer non riuscirà a comprendere a pieno le complessità del calcio italiano, né la serie A gli concederà il tempo necessario per sviluppare quella rivoluzione tattica che aveva in mente.

 

Aveva ragione Martin Luther King, una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato. E De Boer subisce l'esonero all'indomani della sconfitta di Genova contro la Sampdoria. Si congederà dall'Inter con un magro bottino. Solo quattordici punti in undici gare frutto di cinque sconfitte, due pareggi e quattro vittorie. Avremmo voluto, avremmo dovuto, avremmo potuto. Le parole più dolorose del linguaggio, non solo di Jonathan Cole, ma anche di Frank De Boer, l'allenatore a cui non fu concesso il tempo necessario per fare la rivoluzione. 


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