Società abbiamo un problema: tutelare i 60 mila tifosi (più qualche altro milione)

di Mario Spolverini, pubblicato il: 16/09/2018

 

Premessa doverosa: l’Inter di queste prime quattro giornate di campionato è deludente. Il calendario aveva regalato un inizio soft, Sassuolo, Torino, Bologna e Parma sembravano aprire speranze di filotto. 4 punti non sono una sentenza di fallimento ma un campanello d’allarme che suona fortissimo, o lo si ascolta o si naufraga da qui ad un mese. Spalletti ed i giocatori hanno responsabilità evidenti, il gioco espresso in questi 360 minuti iniziali è quanto di più lontano il mercato lasciasse immaginare. Ed il mercato è stato fatto, stavolta si, sulla base di quanto indicato dal mister. Dunque gambe in spalla, testa bassa e pedalare, ad iniziare da martedì nella serata di gala di rientro in Champions League. 

Dopodichè il discorso da fare deve essere allargato, necessariamente. L’Inter è un castello ancora in costruzione, il gol di Vecino all’Olimpico quattro mesi fa segnava la fine della realizzazione delle fondamenta. Il mercato estivo ha portato mattoni e cemento armato per tirar su la struttura tanto attesa. Per questo chi parlava di anti-juve vaneggiava o alzava ad arte l’asticella delle aspettative per creare panico alle prime difficoltà, come si sta regolarmente verificando. 

L’Inter costruita è una squadra che ha potenziale notevole per fare meglio dello scorso anno ma non ha ancora i crismi di personalità e qualità necessari per essere superiore anche agli “errori” degli arbitri.  Mariani a Sassuolo fischiò il rigore su Berardi ma non quello su Asamoah in due azioni identiche, anzi, l’intervento sul laterale nerazzurro era molto più evidente che non quello che portò al penalty per gli emiliani.

E ieri Manganiello, 36enne analista finanziario di Pinerolo (Torino), 22 direzioni in serie A prima dell’inizio di questa stagione. E insieme a lui mister VAR Gianluca Rocchi, celebratissimo, palmares ricchissimo ma quasi sempre sfortunatissimo quando ha a che fare con l’Inter.

Il gatto e la volpe che, al di là dei demeriti evidenti dell’Inter, hanno confezionato il regalo di ieri ai nerazzurri, sul fallo di mano solare di Di Marco davanti alla riga della porta parmense. Al 12mo del secondo tempo diamo sto rigore all’Inter e poi vediamo se oggi saremmo qui a fare gli stessi discorsi di oggi. E vediamo se sui social le schegge impazzite del tifo reclamerebbero giubilazioni massa e fucilazioni immediate sulla pubblica piazza.

Se gli episodi in sé sono ambedue gravissimi, quello di ieri è scandaloso. Non vede l’arbitro, non vede il VAR, il Var non richiama l’arbitro. Solo i 60 mila di San Siro hanno visto bene, solo i milioni di tifosi incollati alle TV hanno visto bene. Da queste pagine abbiamo scritto più volte del depotenziamento del VAR deciso in sede europea, abbiamo detto che quell’”errore chiaro ed evidente” segnava la fine del VAR e la riacquisizione del potere da parte della classe arbitrale. Era quello che volevano, per tornare a fare quello che è successo ieri, che con l VAR dello scorso anno non sarebbe stato possibile. Oggi tutti condannano l’operato di Manganiello, ma il danno è fatto, l’Inter ha perso e delle lacrime di coccodrillo del giorno dopo non interessano a nessuno dei 60 mila di ieri. Anzi, fanno solo incazzare ancora di più.

E allora qui deve scendere in campo la società. I 60 mila di ieri a San Siro e i milioni alle TV hanno subito un danno evidente, una presa in giro vergognosa. E’ la società che deve pensare per prima alla loro tutela. Come farlo non è un problema dei tifosi ma dei dirigenti, che hanno il diritto ed il dovere di difendere il patrimonio nerazzurro, la parte più importante del quale sono i tifosi. Una società silente sarebbe un’altra ferita per la gente nerazzurra, forse ancor più sanguinosa del rigore negato da Manganiello.


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