Inter: Ranocchia capitano senza fascia e senza Bentley

di Mario Spolverini, pubblicato il: 22/02/2019

 

Quando sei stato leader di un gruppo, se lo hai fatto con intelligenza e passione, lo resti per sempre, ha detto qualcuno. Niente di più vero, anche se il percorso può essere pieno di bocconi amari, difficili da digerire in qualche momento, ma è proprio in quei momenti che si misurano i leader e gli omuncoli.

Ci sono capitani e capitani. Andrea Ranocchia nel 2015 era capitano dell’Inter, iniziò la stagione da panchinaro, la fascia passò sul braccio di Mauro Icardi.

Uno non diventa capitano dell’Inter se non ha qualità. Che siano tecniche, morali, legate all’anzianità, poco importa. Ranocchia le sue qualità le aveva dimostrate tutte, fino in fondo, con grande modestia e con una forza d’animo ammirevole. Dopo il Triplete ed il ritiro dal calcio giocato di Zanetti, il simbolo della leadership era toccata a lui. Stagioni difficili dopo l’epopea di Mourinho. Risultati scarsi, rapporto con i tifosi che progressivamente si deteriorava, cambi di proprietà, FFP che iniziava a mordere.Se questa era la cornice, il dipinto non era certo migliore. Via i meravigliosi uomini di Mourinho nessuno dei sostituti aveva un quinto delle loro personalità, del loro carattere e tantomeno del loro talento.

Andrea Ranocchia , come gli altri, entrò nel vortice. Lui più di tutti gli altri, proprio per quella fascia, oltre che per qualche errore di troppo in campo. San Siro diventò per lui una sofferenza, il suo pubblico era diventato il suo primo ostacolo da superare, domenica dopo domenica. Un paio di prestiti, alla Samp e in Inghilterra non risolsero le cose, ogni estate ad ogni ritiro era l’inizio di una nuova angoscia.

Non era stato facile toccare il fondo nella considerazione dei tifosi come era capitato a lui e, nonostante ciò, decidere di scommettere ancora una volta su sé stesso. Lui lo ha fatto, in silenzio, aiutato da Spalletti e dai compagni, lasciando da parte le parole inutili e facendo parlare solo il sudore e l’impegno durante gli allenamenti. Mai una polemica, mai una parola fuori posto mai un selfie, diversamente da giovincelli arrivati da ogni parte del mondo credendo di aver trovato alla Pinetina il bengodi.

C’era sempre l’Inter davanti al suo interesse personale, la squadra avanti a tutto. E quando la squadra ha chiamato Ranocchia ha risposto presente. Fino a riconquistare il suo pubblico, una domenica di due anni fa con il Chievo, quando l’ovazione che San Siro gli dedicò somigliò ad una enorme e sentita richiesta di scuse all’antico capitano. Quel giorno Ranocchia si riprese l’Inter senza urlare, senza una polemica, mettendosi a testa alta e schiena dritta di fronte alla sua gente. Io sono questo qua, questa è la mia professionalità, la mia serietà, il mio amore per questi colori. Ranocchia vinse la sua sfida così, la gente lo capì e non ha più smesso di apprezzarlo.

Il gol di ieri al Rapid Vienna è un’altra perla per questo ragazzo d’oro, interista come nessun altro. Non è un fuoriclasse, lo sa lui e lo sappiamo noi, nessuno gli chiede più di quello che è nelle sue corde. Gioca poco, ancora meno parla sui giornali, molto nello spogliatoio. I leader veri fanno così perché il carisma, l’autorevolezza o li hai dentro oppure nessun contratto, nessuna Bentley può regalarteli.

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