Il fondo sovrano Pif investe in Premier League. Serie A lontana anni luce

di Raffaele Garinella, pubblicato il: 08/10/2021

In tanti si domandano come mai il Public Investment Fund – Pif – fondo sovrano dell’Arabia Saudita, abbia deciso di investire circa 360 milioni per l’acquisizione del Newcastle United e non per l’Inter. 

Uno dei motivi è certamente legato al differente fascino tra i due campionati. La Serie A è rimasta ferma, immobile, legata ad un mondo pallonaro che non esiste più. Un po’ come Narciso, il nostro campionato si è troppo specchiato in una bellezza che, ormai, non balla più. La Premier League, al contrario, è rimasta sempre affascinante, ma ha saputo cavalcare l’onda del tempo senza restarne travolta. Si pensi, per esempio, agli impianti da gioco. In Italia sono pochi i club che hanno un impianto di proprietà in grado di offrire servizi di prim’ordine a tifosi ed appassionati. 

In Italia continua a regnare quella nostalgia canaglia celebrata da Al Bano Carrisi in una delle sue celebri canzoni. Siamo lontani anni luce dal business e dall'entertainment che, necessariamente, appartengono ad un calcio evoluto e di prima scelta. Fino a quando il movimento calcistico italiano non farà passi avanti verso una necessaria modernizzazione, sarà difficile vedere investitori disposti a rilevare squadre nostrane. I tifosi bianconeri dei Magpies –  gazze – potranno finalmente sognare in grande. La squadra, attualmente relegata nelle ultime posizioni, subirà un restyling durante il mercato di gennaio, per poi essere rivoluzionata in estate. La nuova proprietà vanta un patrimonio di circa 500 miliardi di dollari. Una cifra – secondo i bene informati – nettamente superiore a quella dei proprietari del Manchester City, squadra tra le più facoltose del pianeta. Vincere è sicuramente importante, ma non può essere l'unica cosa. Bisognerà mutare alcuni aspetti legati al pensiero globale.

Uno scudetto, una Coppa Italia, o anche una Supercoppa Italiana, regalano sì gioia al pubblico, ma si tratta di qualcosa che, da un punto di vista economico, smuove nulla in termini di investimenti. Il futuro è negli impianti sportivi, nel merchandising, nei prodotti che si offrono a chi si reca allo stadio non solo per guardare la propria squadra del cuore. Il tempo delle radioline, delle sigle di trasmissioni sportive che toccano il cuore perché ci riportano a momenti d'infanzia, è finito. O lo comprendiamo alla svelta, o restiamo indietro. 

Così è (se vi pare). 


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