Euro2020: un’Italia così serviva al calcio e a tutto il Paese

di Matteo Gardelli, pubblicato il: 07/07/2021

L’Italia di Roberto Mancini ha centrato la finale di Euro2020. Domenica 11 luglio, nell’iconica cornice di Wembely, sfiderà una fra Inghilterra e Danimarca. Il successo nella competizione continentale ci manca da 53 anni, troppi. Come da tanto tempo non avevamo una Nazionale così: combattiva, tenace ma anche bella e sognatrice. Serviva un simile gruppo: sia per il nostro calcio – sprofondato dopo la mancata qualificazione ai Mondiali di Russia – sia per il Paese che prova a uscire dall’incubo pandemico per affrontare una nuova rinascita sociale ed economica.

L’unica vittoria all’Europeo risale al 1968, l’anno che sconvolse il mondo. Cinquantatré anni fa ci vollero due partite di finale contro la Jugoslavia (1-1 poi 2-0) per permettere a Giacinto Facchetti di alzare il trofeo a Roma. Questa volta sarà da dentro o fuori: non avremo alcuna possibilità di ‘replay’ come più di mezzo secolo fa. Francamente poco importa se sfideremo la ‘favola’ Danimarca oppure l’Inghilterra della ‘golden generation’. L’Italia di Roberto Mancini, in questo mese di competizione, ha dimostrato di sapersi adeguare contro ogni avversario. Per esempio: è stata bella e sognatrice contro il super favorito Belgio nei quarti di finale. Ha saputo essere combattiva e tenace nell’ottavo contro l’Austria e poi, ieri sera (martedì, ndr), contro la Spagna. Queste doti, a volte, riescono anche a sopperire a una condizione fisica che, a tratti, pare non più brillantissima.

In queste ore di festa c’è chi dice: “Questo Europeo era una sorta di esame di maturità per la Nazionale. Esame superato. Manca solo il voto finale. Lo rimandiamo a domenica. Quando una squadra lotta così merita solo applausi”. Ed è vero. Perché l’Italia, alla vigilia della competizione, non era assolutamente data fra le due, tre favorite per la vittoria finale. Partita dopo partita ha però dimostrato – Mancini questo (quasi) sicuramente lo sapeva già – di potersela giocare con tutti. Ogni vittoria, ogni passaggio del turno sembra poi aver fatto riscoprire al Paese lo spirito di coesione. Uno spirito necessario dopo quanto vissuto nel 2020 che, come il 1968, è stato un altro anno che ha sconvolto il mondo.

Ora manca “l’ultimo centimetro” come ha detto Leondaro Bonucci. L’Italia a questo Europeo possiede il giusto mix per non fallire quest’ultimo passo. Che sia Inghilterra o Danimarca poco importa: noi abbiamo il portiere più forte (forse lo è di tutto il mondo e se non lo è ancora presto lo diventerà). E solo Eupalla sa quant’è fondamentale avere un ultimo, sicuro baluardo. Sia contro il Belgio sia ieri sera Gigi Donnarumma lo ha nuovamente ricordato. Che sia Inghilterra o Danimarca poco importa: noi abbiamo un centrocampista – com’è starano il calcio – che meno di un decennio fa giocava negli ‘scantinati’ del professionismo e ora viene candidato seriamente al Pallone d’Oro. Già perché Jorghino, quest’anno, ha già vinto da protagonista una Coppa dei Campioni e, nell’ultimo rigore contro la Spagna, ha dimostrato di avere una forza mentale tutt’altro che comune. Che sia Inghilterra o Danimarca poco importa: noi abbiamo un ragazzo che sta vivendo un momento magico. Federico Chiesa è il ‘boom’ del nostro Europeo.

Direte: “Se sarà Inghilterra, loro in attacco sono più forti“. È vero. Noi non abbiamo né un Harry Kane, né un Raheem Sterling. Loro, però, non hanno una coppia di centrali difensivi come Bonucci e Chiellini. Per questo duo sarà, probabilmente, ‘the last dance’ con la maglia della Nazionale a questi livelli. E nessuno vuole lasciare il palco senza ricevere l’ultima interminabile standing-ovation. Direte: “Se sarà Danimarca, loro avranno un agonismo estremo dopo quello capitato a Eriksen”. È vero. Noi però abbiamo un gruppo che non ha mai mollato, che ha lottato sempre contro tutto e tutti: ricordate lo scetticismo di tutta la stampa sul “non aver mai incontrato avversari di livello?”. Ecco. Non vi ricorda, per caso, le situazioni ambientali che si crearono sia nel 1982 sia nel 2006? Ci siamo capiti.

Insomma: si potesse, manderemmo avanti le lancette dell’orologio e le posizioneremmo già sulle 21 di domenica 11 luglio. Ci voleva, ci vuole una finale così: per il nostro calcio e il nostro Paese.


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