AMALA, PURCHE’ CI AMI (PERCHE’ LE COSE SI FANNO IN DUE)

di Filippo Rotolo, pubblicato il: 14/05/2017

C’era una volta l’Inter

C’era una volta l’Inter. Sembra l’incipit di Biancaneve. Ma quello che vi racconto è tutto vero. Correva l’Anno Domini 2010, l’FC Internazionale Milano si apprestava a vincere il suo 18esimo scudetto (al cardiopalma). A pochi giorni dalla finale di Champions il popolo interista era semplicemente impazzito. Finale e Champions League. Due parole che dalle parti di San Siro non venivano pronunciate nella stessa frase da praticamente un cinquantennio.

Una squadra tosta; in panchina il Massimo Decimo Meridio di Setubal, Josè sua santità Mourinho e lo stadio sempre pieno. “Io c’ero”, la frase più pronunciata dopo l’impresa contro il Barcellona, risuonava in curva come un mantra.
Dall’altra parte della Pianura Padana, a Torino, l’acerrimo nemico, la Vecchia Signora viveva una situazione diametralmente opposta. Caos societario, Cobolli Gigli presidente all’improvviso (e si è capito largamente il perché), allenatori sull’orlo di una crisi di nervi, una rosa qualitativamente al di sotto del blasone e una serie di umiliazioni riassumibili nel gol di Maicon, sombrero controllo di ginocchio e bomba all’incrocio.
Noi infallibili, loro al collasso. Primi e irraggiungibili noi, settimi e fuori da tutto loro.
E no, non voglio assolutamente profetizzare una prossima vittoria bianconera in Champions, giammai. Ma se vediamo lucidamente le cose come stanno, la (brutta) piega che le cose in casa nerazzurra hanno preso da sette anni ad oggi, qualche analogia la si può trovare. E non è uno scherzo del destino. L’Inter ‘del Triplete’, ormai battezzata così, e la Juve di Allegri hanno molto in comune. Non solo sono squadre oggettivamente irraggiungibili per le rivali, ma in entrambe si può ritrovare una spina dorsale d’acciaio; un portiere saracinesca, indiavolato e mai morto (Julio Cesar e Buffon), una difesa con attributi da Guinness World Record (Lucio-Samuel e Bonucci-Chiellini), elementi carismatici (Barzagli-Cambiasso) e campioni di livello assoluto (Higuain-Eto’o). Ma soprattutto giocatori affamati, giovani (Dybala) e non (Higuain-Milito). Se a tutto ciò si aggiunge poi un’estate di addii pesanti (Ibrahimovic-Pogba,Vidal) il paragone risulta tutto fuorché azzardato.
La gloria arriva con fortuna, certo – l’eruzione del vulcano dal nome chilometrico nel 2010 e un Barcellona in condizione fisica ‘cenone di Natale’ poche settimane fa, ma questa non può e non sarà mai condizione necessaria e sufficiente, come si dice in Matematica. Se non si poggiano le giuste pietre la struttura non può essere stabile, e sul tetto d’Europa non ci si arriva di certo. Mi riferisco al fatto di avere alle spalle una società seria, presente e con gli uomini giusti nelle posizioni giuste. Uomini che conoscono la società (Oriali, dopo una vita da mediano nerazzurro) che ‘sanno fare il loro lavoro’. Non di certo un Ausilio in versione factotum, che parla, fa e disfa, critica e elogia. Proprio come Cobolli Gigli, che per charme e presenza scenica non poteva essere presidente della Juventus.
Cari Zhang, prendiate esempio da quella Juventus, da quell’ammasso di rovine di sette anni fa. Non si vince navigando a vista; solo una pianificazione a lungo termine ci farà risorgere dalle ceneri. Tifosi, popolo del Biscione, non facciamoci ingolosire dai soldi, dalle voci di mercato e dal potenziale economico di Suning. Esigiamo una società seria, che ci rispetti e che abbia un minimo di amor proprio. Comprare giocatori a peso d’oro è un po’ come riempirsi il garage di macchine lussuose: bello, per carità, ma senza nessuno che le sappia guidare ci si può schiantare nel vialetto di casa.

Perché, sapete, è davvero struggente sentire gli stessi tifosi del “io c’ero” dire “fortuna che son rimasto a casa”.
Amala, purché ci ami (perché le cose si fanno in due).


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