Gabigol riabbraccia il Santos, ma la sua non è una storia normale

di Giovanni Gallo, pubblicato il: 25/01/2018

Dopo 17 mesi di Europa Gabigol ritorna a casa

Gabriel Barbosa Almeida, più semplicemente Gabigol, ritorna alle origini. Brasile, Santos, la sua terra allegra, la sua squadra, che fu prima di Pelé poi di Neymar. L’Inter incasserà 1,5 milioni per il prestito fino al 31 dicembre 2018.

Le strade di Gabigol e del Santos si incrociarono quando, da giocatore di calcio a 5, segnò ben 6 gol a quella che sarebbe diventata la sua squadra. I dirigenti, folgorati da quel bambino di 8 anni, non se lo lasciano sfuggire e lo tesserano. Zito, suo scopritore, ci aveva visto giusto, perché il ragazzo, dal 2013, anno del suo esordio in prima squadra, li ripagherà a suon di gol e prestazioni. Nel 2016 diventa campione olimpico, attirando l’interesse di importanti squadre europee, tra cui l’Inter, che lo strappa alla concorrenza per più di 30 milioni di euro più bonus.

Il suo arrivo a Milano è preceduto dallo spot realizzato dalla Pirelli, durante il quale il ragazzo cominciava a palleggiare con il sottofondo di “O mia bela Madunina” per concludere la sua performance con ritmi brasiliani. La conferenza stampa di presentazione, un’americanata di quelle colossali, è da brividi. Introdotto da Tronchetti Provera, con la sala che si fa buia per creare l’atmosfera, Gabigol, quasi come un divo agli oscar, scende le scale elegantissimo e sorridente. L’Inter ha la sua stella. Gabigol si prende l’Inter ancor prima di scendere in campo.

Ma le cose si rivelano subito in salita per il brasiliano, che vedrà il terreno di gioco con il contagocce. In maglia nerazzurra si conteranno solo 10 presenze, appena 183′ minuti giocati e un gol, pesante e da 3 punti, a Bologna. Si parlerà di problemi di ambientamento a un calcio diverso, di saudade, di incomprensioni con gli allenatori, di uno scarso impegno durante la settimana.

Eppure, Gabriel aveva conquistato tutti. Con il sorriso perennemente stampato in viso e i modi gentili. Impossibile non volergli bene. Allo stadio si inneggiava il suo nome e si invocava il suo ingresso quando le cose andavano male (abbastanza spesso l’anno scorso). Era diventato il beniamino senza aver dimostrato nulla. E questo è abbastanza inspiegabile. Ma prodigioso.

Il prestito al Benfica, per farlo maturare, fu una logica conseguenza. In terra lusitana le cose però non vanno meglio. Con il club delle aquile il feeling non sboccia. Anche qui il Gabigol rimane ai margini. Saranno solo 164 i minuti giocati spalmati in 5 presenze, nelle quali c’è anche un gol.

17 mesi dopo il suo arrivo, anche il più grande degli ottimisti non faticherebbe a bollare il calciatore come flop. Non si capisce cosa sia andato storto. Prima di arrivare in Italia c’era chi lo considerava meglio di Gabriel Jesus, che oltremanica sta facendo sfracelli ed è sempre più al centro del City di Guardiola.

Di Gabigol colpisce la sua serenità, nonostante tutto. Il suo incrollabile ottimismo, anche nei momenti più duri. Non lo abbiamo mai visto imbronciato. Lo abbiamo letto sui social scrivere di “fatica”, “sacrificio”, “sudore”, “impegno”. Non ha mai attaccato un compagno. Non se l’è mai presa con l’allenatore. La sua è stata una “via crucis” solitaria intrisa di fede e passione. La croce se l’è portata da solo. C’è qualcosa di eroico in tutto ciò. Qualcosa che sfugge all’umana comprensione e che affascina tremendamente. E ci dice che Gabigol non è un giocatore qualunque.

C’è una tifoseria che ti aspetta, Gabriel. Tutti vogliono sapere se tu sia un pacco o un giocatore vero. Se la tua sia stata un’abile operazione di marketing per gli investimenti della Pirelli in Brasile o il colpo grosso di un procuratore avido e senza scrupoli.

Da interista non ce la farei a sopportare un secondo smacco alla Coutinho. Non resisterei nel vederti segnare caterve di gol con un’altra maglia che non sia quella nerazzurra, magari arrivando a costare 200 milioni. Per questo spero, dal profondo del cuore, che le tue qualità vengano fuori. Oppure, egoisticamente, tacciano per sempre. Ma ti prego: dicci chi sei. Al più presto. Palesati. Trascinarsi nel dubbio non giova. Né a te né ai tifosi. Spezza questa agonia che lentamente ci annienta. Grida al mondo intero il tuo talento. Oppure esci defilato. Comunque la si veda, la tua è una stella, non ci sono dubbi. Ma adesso è arrivato il momento di dirci, una volta per tutte, se brilla di luce propria o riflessa.


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