Storie nerazzurre | Alvaro Recoba, il mancino che incantò San Siro

di Marco Ciogli, pubblicato il: 29/09/2017

Indice dei contenuti

1 Racconto della storia di Alvaro Recoba, Il mancino che innamorò San Siro e l’incarnazione di “quello che sarebbe potuto essere”2 In un giorno di marzo del 1976, a Montevideo, nasce quello che per tutti sarà sempre conosciuto come El Chino3 Esordi nella prima di campionato, con la squadra sotto 1-0, e dopo 5 minuti già aveva San Siro ai suoi piedi4 Incarnava la speranza5 Forse c’è una parola, che si può usare, ed è Emozione6 Ci sono giocate che passano alla storia, una di queste è chiamata da tutti Gol olimpicoRacconto della storia di Alvaro Recoba, Il mancino che innamorò San Siro e l’incarnazione di “quello che sarebbe potuto essere”

Storie nerazzurre| Ci sono luoghi, su questa terra, dove il calcio non è uno sport, è quasi uno stato di esistenza dello spiritualismo umano.

In Sud America, dove realtà e misticismo sono da sempre le uniche leggi che governano quei luoghi, il calcio esordi in un contesto di esistenza unico.

Divenne subito “La Nuesta” come ribattezzata dagli Argentini, la visione del calcio in maniera completamente diversa dagli altri.

Era tutto, era un modo di esistere diverso dagli altri, una visione propria di qualcosa che andava oltre il semplice gioco.

In pochi anni il calcio divenne un modo di esprimersi, un modo di far conoscere al mondo l’identità di questi paesi.

La storia del calcio sud americana è qualcosa di inafferrabile, non si può capire fino in fondo senza vivere quei luoghi.

E’ bellezza, è gioia, è guardare qualcosa ed innamorarsi, non c’è un modo per descriverlo, sin da bambini il calcio è parte fondamentale della vita di ogni singolo individuo.

In sud america ad esempio, appena metti piede su un campo di calcio, hai un soprannome, con cui ti chiameranno per il resto della tua vita.

C’è El fideo, che sarebbe quello magro, El Matador, se sei uno che segna tanti e tanti gol, el loco e non avete bisogno di spiegazioni.

Sono soprannomi che ti porti dietro per sempre, a meno che, non si diventi qualcosa più di un giocatore di calcio, a meno che, non diventiate el diez, o semplicemete il fenomeno.

In un giorno di marzo del 1976, a Montevideo, nasce quello che per tutti sarà sempre conosciuto come El Chino

El Chino perché è un bambino dagli occhi a mandorla, con dei tratti molto orientali e con una visione della vita molto particolare.

Il ragazzo però ha talento ed ha un sinistro che non si vede spesso in giro, ma è uno anche molto distratto.

Ed è una caratteristica che lo accompagnerà sempre nella sua carriera.

Un giorno, ad esempio, quando Alvaro era ancora un ragazzino, arrivò alla finale di un torneo giovanile e per festeggiare decise di andarsene a pesca.

El chino però era distratto, viveva il mondo un battito cardiaco in meno rispetto agli altri, e non si accorse che era estremamente in ritardo per giocare quella finale.

Di corsa arrivo al campo, sul finire del primo tempo, con la squadra sotto 3-1.

Ma lui era El Chino, e alla storia quella partita verrà consegnata come un 4-3, con 3 gol di Alvaro per alzare il trofeo.

Per chi dice che l’amore a prima vista non esiste, andate da Moratti e chiedetegli cosa fosse per lui Recoba, vi convincerete del contrario.

Recoba arrivò a Milano proprio perché Moratti si innamorò subito di quel ragazzo con quel sinistro fatato, ed arrivò nel 97, lo stesso anno di Ronaldo.

Esordi nella prima di campionato, con la squadra sotto 1-0, e dopo 5 minuti già aveva San Siro ai suoi piedi

Una palla scaricata a 35 metri dalla porta, ed il ragazzino, senza pensarci due volte, con quel sinistro magico sparò un missile all’incrocio…1-1.

Sul finire di gara, una punizione sempre dai 35, Alvaro si avvicina alla palla e decide che quella punizione sarà sua, l’arbitro fischia, parte il sinistro ed è ancora incrocio.

In una domenica di Agosto anche il fenomeno dovette inchinarsi a quel ragazzino dagli occhi a mandorla, che aveva regalato la vittoria ai nerazzurri.

Ma Alvaro viveva un battito cardiaco più lento rispetto agli altri, e questo si vedeva, non era continuo, non riusciva ad essere determinante ogni volta.

E’ stato, come si dice, croce e delizia del popolo nerazzurro, ma non era solo questo.

Alvaro incarnava probabilmente quella che è la più bella tra le emozioni umane.

Incarnava la speranza

Me lo ricordo, me lo ricordo bene com’era, ogni volta che la squadra era sotto ed Alvaro entrava c’era la sensazione che sarebbe potuto succedere di tutto.

Ma alvaro viveva la sua vita in modo particolare, e non sempre riusciva ad essere determinante, certo però, quando decideva che lui c’era in campo, era come il tempo, ineluttabile, un modo per vincere lo trovava sempre.

Non so, è il calcio sud americano, è bellezza, e spiritualità, è misticismo, non saprei dare una definizione centrata del talento di Alavaro recoba.

Forse c’è una parola, che si può usare, ed è Emozione

Emozione però dovete ricercarla proprio a casa sua, in Sud America.

In un giorno dell’86, in una partita del mondiale probabilmente la parola emozione ha preso una forma definibile.

Victor Hugo Morales, una delle voci storiche del calcio mondiale, sta commentando la partita tra Inghilterra ed Argentina, quando ad un certo punto, da dietro al centrocampo prende palla Maradona.

L’aquilone cosmico, LA telecronaca, quella che conosciamo tutti, quella telecronaca è stato il momento in cui l’emozione è salita al comando.

Morales, Uruguaynao, sta commentando quell’azione e quando si rende conto di cosa sta per accadare cede all’emozione.

Non c’è Nazionalità, tifo, professione che tenga, c’è il bello, c’è l’emozione, il risultato è una cosa secondaria.

Quella primaria è ringraziare Diego per quello che ha fatto, è ringraziare Dio, per “el futbol”.

Per tanti interisti Recoba è stato proprio quello, uscire fuori dai risultati, da quelle volte che magari sembrava assente dal campo, perché ogni volta che Alvaro toccava una palla, era l’emozione a prendere il controllo.

Recoba probabilmente è l’esempio concreto della frase “sarebbe potuto essere ma”.
Eh si, perché sarebbe potuto essere davvero un Dio del calcio, ma lui viveva un battito cardiaco in meno rispetto agli altri.

Viveva nella sua dimensione, e magari è vissuto in un calcio che non era il suo, 20 anni troppo presto o 20 troppo tardi.

Ma era unico nel suo modo di stare al mondo, con i suoi gol, le sue giocate.

Ci sono giocate che passano alla storia, una di queste è chiamata da tutti Gol olimpico

Il gol olimpico è il gol direttamente da calcio d’angolo, e prende questo nome perche la prima volta fù realizzato nell’olimpiade del 24, da un Argentino.

I giocatori particolarmente dotati ne fanno 1-2, in una carriera.

Recoba quando è tornato a casa sua, Al nacional ne faceva 2-3 ma a stagione, e con i portieri che sapevano che lui tirava per segnare.

E’ Alvaro, è stato tutto questo, genio, talento, sinistro, tecnica, emozione e concretezza, provate ad immaginare cosa sarebbe potuto essere se a queste parole fosse riuscito ad affiancare continuità.

In Uruguay, proprio perché quello è il Sud America che vive di misticismo, il sinistro di Alvaro è come un monumento.

Non sarà uno che ha vinto, che ha lasciato il segno ma se mettete da parte i numeri, e vi abbandonate alle emozioni, Recoba è El Chino.

E’ la speranza che ogni tifoso nerazzurro aveva quando lo vedeva accarezzare la palla con quel sinistro.

Chi lo ha visto giocare se lo ricorda bene, si ricorda di averlo odiato e di averlo amato, si ricorda della speranza che ci dava.

Ed in fondo, se lasciamo da parte i numeri e ci abbandoniamo all’emozione…

Gracias Alvaro per la emocion, Gracias Dios por el futbol.


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