Per il dopo Allegri una scelta a sorpresa, una rivoluzione in campo e fuori

di Mario Spolverini, pubblicato il: 17/05/2019

La notizia della fine del matrimonio tra la Juventus e Allegri era nell’aria, le giornate passate ad inseguire le indiscrezioni da Vinovo erano un segnale chiaro mentre  per la conferma sarebbero bastate poche ore. Separazione consensuale? Nella forma ci spiegheranno di si, nella sostanza non ci scommetteremmo due euro alla Snai, l’eliminazione dalla Champions patita dai ragazzini olandesi pesa maledettamente da quelle parti, tanto più se in squadra e a bilancio hai un certo Cristiano Ronaldo. E anche l’eliminazione dalla Coppa Italia non deve essere stato un boccone facile da digerire per i vertici bianconeri. Rivedere le immagini di inizio ritiro dello scorso anno, con  Andrea Agnelli che declama i tre obbiettivi da portare a casa è sintomatico di quanta delusione possa regnare  a Torino in queste settimane.

Adesso si apre una partita completamente nuova, nella quale si può tentare di azzardare qualche ipotesi sul successore di Allegri solo rifacendosi allo stile Juve ed ai trascorsi, oltre che a sensazioni sul campo. I punti fermi da considerare potrebbero per disegnare un ipotetico identikit potrebbero essere questi. Italiano prima di tutto, perché la tradizione della panchina bianconera non parla straniero, con la sola esclusione di Didier Deschamps nell’anno della serie B. L’unica contro indicazione tal senso poteva essere Zidane ma il crollo del Real ha eliminato ogni possibilità in tal senso. Italiano e affamato, perché quando ha voltato pagina la società bianconera ha quasi sempre privilegiato uomini non di primissima fascia nello scenario nazionale ma con la giusta dose di tigna sportiva, di garra da mettere al servizio del senso di appartenenza nel quale viene virtualmente  immerso  ogni inquilino della panchina della Juve. Lippi arrivò da Napoli dove era arrivato sesto l’anno prima, Conte navigava in periferia tra Bergamo e Siena prima di ricevere la chiamata fatale, solo Allegri  veniva da una piazza importante come quella rossonera ma con un  ottavo posto e polemiche feroci nel suo ultimo anno con Berlusconi e Galliani.

Se questi presupposti fossero veri,  i petali della margherita da sfogliare potrebbero essere quelli di Simone Inzaghi, Sarri e Gasperini.  L’allenatore dell’Atalanta delle meraviglie potrebbe vantare il suo passato bianconero ma per lui sembra già steso il tappeto rosso per la capitale, sponda giallorossa. Inzaghi potrà destare tutte le simpatie di questo mondo ma dire che scalderebbe i cuori dei tifosi juventini è forse troppo. La sua Lazio continua anno dopo anno a navigare nella zona Champions e riesce pure ad alzare trofei importanti, ma la piazza di Torino reclama qualcosa di più.

Resta Maurizio Sarri, i bookmakers lo danno in vantaggio su tutti i competitor, i primi contatti sono già statoi avviati. Enigmatico, carismatico quanto basta, un personaggio di livello, checchè se ne dica.  Se a Torino hanno avuto i brividi di paura per uno scudetto che poteva sfuggire è stato a causa sua e del suo Napoli lo scorso anno.  Trofei alzati nessuno, come Gasperini del resto, ma anche come Lippi e Conte, dunque siamo nella migliore tradizione juventina.  Più di loro il figlinese può vantare un’esperienza di livello internazionale assoluto come il Chelsea , con la conquista della Champions per il prossimo anno, la finale di Europa League  e una sconfitta solo ai rigori dal Manchester City in Coppa di Lega.

Sarri, uguale a nessuno, uguale solo a sé stesso, sarebbe il manifesto più evidente del cambio radicale che la Juventus cerca per continuare a vincere. Mutazione genetica, in campo e fuori, perché il calcio del valdarnese è ormai ben conosciuto, ma anche la sua indole di uomo fuori dal coro, tenace quanto poco malleabile, per niente incline a riflettori e ruffianerie varie. Tra Livorno e Figline Valdarno corrono 150 km o poco più, la  panchina bianconera sentirebbe   ancora il dialetto toscano dominare. Ma resterebbe l’unica cosa uguale a prima.


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