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Premio a Moggi, eroe moderno di un’Italia semiseria

 La notizia che Luciano Moggi sia stato insignito di un premio alla carriera dall’Ordine del Leone d’Oro di Venezia e che la cerimonia si sia svolta nelle sale del Senato della Repubblica parla da sola. Un flash spettacolare. Una pennellata magistrale per rappresentare la situazione di un paese in cui il calcio e la politica gareggiano strenuamente da anni per dimostrare chi riesce a tenere più lontano dalle proprie stanze lo strano virus dell’etica.

C’è da meravigliarsi? E di che cosa? Siamo o no in un paese che ha vissuto Calciopoli e Tangentopoli riuscendo più a creare martiri che condannare i colpevoli? Due fuochi dalle cui ceneri potevano e dovevano rinascere nuove sensibilità e coscienze, sociali e sportive. Due rivoluzioni naufragate, dopo i primi momenti di sdegno generale, nella volontà ferrea di conservazione e di tutela degli interessi dei più forti o dei più furbi. D’altra parte l’Italia è o non è il paese del Gattopardo, laddove tutto cambia perché niente cambi?

Premio Moggi: le differenze con l’EuropaQuante lezioni ci siamo sorbiti sugli schermi da protagonisti del calcio e della politica che sproloquiavano di etica, valori, morale, salvo poi, appena spente le telecamere, dedicarsi a bunga bunga, acquisti di mutande con i soldi pubblici e scommesse di vario tipo? In Germania l’ex Presidente del Bayern Hoeness si è fatto più di un anno di galera per evasione fiscale, lì chi sbaglia paga, anche nel calcio. Alle nostre latitudini Moggi, radiato a vita dal calcio in via definitiva, scrive su quotidiani illustri, sputa sentenze dalle TV. 

Il massimo della pena è stato l’innocuo ludibrio di qualche giornalata scandalizzata per dovere, durata giusto il tempo di un caffè, e poi? E poi tutto è continuato più o meno come prima. Dove è stata imprigionata l’etica in un calcio che permette ad una società di ostentare scudetti revocati suscitando l’ilarità dei media europei? Il perpetuo menefreghismo dei vertici del calcio nazionale vale da solo un trattato in materia.

E tra gli addetti ai lavori come è stato commentato il premio alla carriera? C’è chi la butta sull’ironia velenosa, come Maurizio Pistocchi che rende merito a Moggi per essere riuscito, unico in 100 anni, a portare la Juventus in serie B. C’è poi chi commenta ogni sospiro di Wanda Nara ma, almeno per ora, si tiene ben lontano dal commentare il premio a Moggi. In fin dei conti anche lui è giornalista a tutti gli effetti, mica si può parlar sempre male di un collega… Questione di ore, ed arriveranno anche gli articoli esultanti per quella che si tenterà di far passare come una riabilitazione di Moggi e della sua immagine.

Non è dato conoscere a chi scrive se l’Ordine del Leone d’Oro di Venezia abbia una qualche attinenza al premio alla carriera della Mostra cinematografica. Se così fosse, al di là dei diversi settori professionali, ci sfugge l’equiparazione tra personaggi del calibro di Orson Welles, Michelangelo Antonioni, Francis Ford Coppola, Federico Fellini, Ermano Olmi e… Luciano Moggi. Regista anche lui, certo, ma in un’arte tutta sua, come hanno sentenziato tribunali diversi. Per realizzare le sue opere si serviva  di schede svizzere anzichè della macchina da presa. Ma questo sembra un particolare irrilevante, almeno a Venezia.

“La situazione italiana è grave ma non seria” scrisse diversi decenni fa Ennio Flaiano. Considerando che lo scrittore abruzzese è morto nel novembre del 1972, epoca in cui Moggi si era già affacciato sul mondo del calcio, c’è da chiedersi se Flaiano non avesse già capito tutto fin da allora.

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