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Inter, Nazionale, Inzaghi e Mancini le rotte parallele

Inter news – ICome volevasi dimostrare.

Sono passati pochi giorni dal flop della nazionale contro la Macedonia e tutto è tornato nella normalità, i problemi degli azzurri sono già acqua passata, quelli veri sono i 40 milioni necessari per Scamacca e la margherita che Dybala   sta sfogliando, resto in Italia o vado all’estero?

Mancini proseguirà il suo percorso e forse è giusto così. Il CT ha le sue responsabilità nel fallimento mondiale, troppa riconoscenza nei confronti degli eroi dell’Europeo, zero coraggio per metterne qualcuno in panchina, la malcelata presunzione che i campioni d’Europa in carica dovessero avere vita facile contro una cenerentola, ma se l’alternativa doveva essere la coppia Lippi-Cannavaro ben venga la sua conferma .

E la dirigenza? Il Presidente Gravina si era autoassolto a prescindere ed in anticipo,  almeno ci ha risparmiato la farsa tutta italiana delle sue dimissioni che sarebbero state puntualmente respinte da una filiera di comando da troppo tempo chiusa nella propria autoreferenzialità. Dagli altri un silenzio assordante.

La strada da percorrere è una sola, lunga e complessa: riforme, decisioni, innovazione, condivisione totale degli obbiettivi con i protagonisti principali (i club), in poche parole  quello che fece la Germania 20 anni fa, tabula rasa per ricostruire un edificio nuovo e prestigioso. Ma noi siamo italiani, mica teutonici, l’interesse di bottega viene sempre prima di quello comunitario, dunque le armi per chi ha davvero a cuore le sorti della Nazionale sono poche, qualche Ave Maria e tanta speranza di essere smentiti, una volta tanto.

Ed ora, finalmente, tutti a testa bassa sul campionato, ottimo narcotizzante per smettere di pensare ad un fallimento che nessuno sente suo visto che la parola responsabilità non esiste nel vocabolario di questo mondo.

Vuoi mettere discutere del prossimo errore del Var piuttosto che dei bimbetti di 12 anni che popolano le scuole calcio con scarpe da 200 euro ai piedi e istruttori che gli insegnano il 4-3-3 ed a darla via due tocchi invece di esaltarne creatività e  fantasia? Una volta, tanto tempo fa,  gli oratori e la strada erano i reparti natalità di dribblomani pazzi e meravigliosi, ragazzi che imparavano quasi da soli l’amore per il calcio e soprattutto il rispetto di sé stessi e degli altri. Oggi si paga la retta ed i genitori, tutti convinti di avere in casa il Baggio del futuro, sclerano se il pupo non viene convocato nel gruppo di eccellenza.

Ma si, torniamo al campionato, all’analisi delle le paturnie di Ibra che non potrà giocare il mondiale con la sua Svezia, e chi se ne frega se la Nazionale campione d’Europa va a giocare una partita decisiva in uno stadio nobile ma vecchio e malmesso come quello di Palermo mentre da decenni non si riesce a mettere nero su bianco 10 righe di legge sugli stadi.

Ironia a parte, tornare al campionato per gli interisti significa stavolta vivere la domenica storicamente più sentita, ancora di più in questa occasione in cui il match con la Juve significa vita o morte per i ragazzi di Inzaghi. Si va allo Stadium con tante incertezze, altrettante speranze e con la ragionevole consapevolezza che molto probabilmente lunedì saremo anche noi a smoccolare sull’errore dell’arbitro di turno. Che sia quello in campo o quello al Var poco cambia, a Torino va così da sempre e saremo i primi a stappare lo spumantino in caso di smentita. Inzaghi come Mancini si trova al passaggio decisivo, l’Inter deve allontanare da sé frutta, macedonia e roba del genere nell’occasione più difficile, con una squadra non proprio brillantissima. E’ in gioco anche il suo futuro e lui lo sa.

Come diceva Spalletti? Uomini forti destini forti, uomini deboli destini deboli…

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